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Mustier lascerà Unicredit, nozze in vista con MPS e nuove perdite a carico dello stato

Jean-Pierre Mustier non si ricandiderà per un terzo mandato come amministratore delegato di Unicredit. E’ stato lo stesso manager francese ad annunciarlo ieri, al termine di un consiglio di amministrazione tenutosi per preparare le liste per le prossime elezioni di aprile e probabilmente anche per discutere delle strategie future della banca. Le azioni dell’istituto sono crollate del 5% nella seduta di ieri, scendendo a 8,64 euro. Durante la giornata, si erano susseguiti svariati rumors, compreso quello su possibili dimissioni imminenti di Mustier per incomprensioni con parte del board su due capitoli-chiave: aggregazioni e scorporo attività estere.

Mustier è stato ad oggi l’uomo che più di ogni altro ha impedito le nozze con Monte dei Paschi di Siena (MPS). Secondo la sua visione, la crescita di Unicredit non passerebbe per fusioni con altre banche italiane o estere. Tuttavia, in ottobre il cda cooptava l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, come presidente designato. E il significato politico della nomina fu immediato: aprire all’integrazione con Siena, collegio in cui Padoan risulta eletto alla Camera.

E non a caso il titolo MPS ieri saliva del 2,65%. La banca ha bisogno di una nuova iniezione di capitali dopo che la cessione di crediti deteriorati ad Amco per 7,5 miliardi di euro ha provocato perdite per 1,13 miliardi. Il resto lo stanno facendo il contesto macro e i rischi legali per circa 10 miliardi che gravano sull’istituto, specie dopo la condanna a carico degli ex manager Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. La stessa Siena ha ammesso, sulla base dei conti al 30 settembre scorso, che sarebbe emerso un deficit patrimoniale di 2-2,5 miliardi, che farebbe scendere i requisiti sotto il minimo Srep imposto dalla Vigilanza europea.

Nuove perdite per i contribuenti

Tra le soluzioni di cui si discute da settimane, vi sono la trasformazione dei Deferred Tax Assets (DTA) in crediti d’imposta (3,7 miliardi di euro al terzo trimestre per MPS), l’emissione di un bond subordinato del tipo Additional Tier 1, l’emissione di nuove azioni e il trasferimento dei rischi legali a una nuova “bad” company pubblica.

Lo stato detiene più del 68% del capitale e in qualità di primo azionista subirà nuove perdite, comunque la si giri. Le stesse nozze con Unicredit non avverrebbero gratuitamente per i contribuenti, in quanto Piazza Gae Aulenti pretenderebbe lo stesso trattamento riservato nel 2017 a Intesa-Sanpaolo per l’acquisizione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Al fine di non impattare negativamente sui ratios patrimoniali, lo stato assegnerebbe alla banca acquisitrice una dote con cui tamponare l’eventuale calo del CET1.

Con l’Europa è in corso una discussione serrata su due punti: la ri-privatizzazione di MPS entro il 2021, come da percorso pattuito, e i DTA. Affinché la conversione di questi ultimi non venga considerata aiuti di stato, il commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ritiene che una legge debba avere applicazione generica e non a favore di uno specifico comparto o istituto. Per questo, il governo starebbe provvedendo a una norma a favore della trasformazione delle DDTA in crediti d’imposta per oltre 7.000 imprese. Basterà per evitare la bocciatura? L’unica certezza apparente risiede nelle nozze sempre più probabile tra Unicredit e MPS. La nomina di Padoan e nei fatti la “cacciata” di Mustier hanno assunto un significato più che chiaro: la banca non ha seguito il suo Ad fino al punto di resistere alle pressioni del governo da un lato e all’accettazione di un futuro sempre meno italo-centrico dall’altro.

Autore: Giovanni Timpone

Fonte: Investire Oggi

 

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