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Banche, partono i nuovi stress test: lo scenario avverso è divenuto realtà

Mentre fanno i conti con il Coronavirus, in questi giorni gli istituti italiani sono alle prese con il primo grande atto degli stress test del 2020. Un esercizio che, almeno secondo le stime iniziali, dovrebbe essere complessivamente gestibile dal sistema bancario italiano. D’altra parte, data l’emergenza in atto in Italia, più che una simulazione teorica, nell’ipotesi avversa gli stress test potrebbero rivelarsi paradossalmente molto più vicini del previsto alla realtà, almeno per quanto riguarda le attese sul Pil italiano.

Infatti l’Eba ha previsto, nello scenario avverso, un calo del Pil italiano 2020 dell’1,2%. Ipotesi estrema, ovviamente, e che è stata disegnata nel 2019, quando l’ipotesi Coronavirus era inimmaginabile. Ora l’acutizzazione è sotto gli occhi di tutti e così pure le conseguenze sul tessuto economico, a cui il Governo punta a porre riparo chiedendo più flessibilità all’Europa. Ma gli effetti stimati al momento sono allarmanti. Qualche giorno fa Goldman Sachs ha messo in conto un Pil 2020 in calo dello 0,8 per cento, e ora c’è chi ragiona su un -2%. La realtà, a meno di auspicabili colpi di scena, sembra insomma avvicinarsi pericolosamente alla peggiore delle ipotesi.

Di certo, ai piani alti delle principali banche i lavori sono oggi in corso. Sul tema Coronavirus, nelle scorse ore gli istituti di credito vigilati dalla Bce hanno ricevuto una lettera dalla Bce con l’invito esplicito a fare attenzione alle attività necessarie da mettere in atto per assicurare la “continuità operativa” nel caso la situazione precipiti per il Coronavirus. Ma nel frattempo i lavori sono in corso anche sul fronte degli stress test. Entro lunedì 9 marzo le aziende di credito dovranno infatti inviare a Bce ed Eba le prime grandi elaborazioni dei dati relativi ai bilanci relativi al 31 dicembre 2019 (la cosiddetta data collection), scadenza su cui viene scattata la fotografia di partenza e su cui vengono basati gli scenari di stress test, uno di base e uno avverso. Quello in atto è un lavoro approfondito di analisi sui dati con un elevato livello di granularità che sta impegnando gli istituti. Anche perché il 9 marzo è di fatto è il punto di partenza di una lunga gara con tre giri di boa (fissati al 31 marzo, 12 maggio e 19 giugno), in occasione dei quali Bce ed Eba effettueranno le verifiche dei risultati inviati nel frattempo dalle banche.

La data finale dei test è invece prevista per il 31 luglio con i risultati. Ad essere coinvolte da vicino sono tutte le principali banche italiane, le cosiddette significant. Alcune di esse (UniCredit, Intesa Sanpaolo, BancoBpm e Ubi), vedranno pubblicati i risultati al mercato, mentre per le altre (Mediobanca, Bper, Credem,Popolare Sondrio, Iccrea, Ccb) i risultati saranno confidenziali, ma gli esiti rientrerenno nelle decisioni Srep di secondo pilastro della Bce.

Ma quali sono le attese del mercato? E quanto rischia di fare male, questo round di stress test alle banche italiane? Il risultato è destinato a variare da banca a banca. Ma nel complesso «per quanto l’esercizio sia duro, il sistema dovrebbe rispondere positivamente al test», spiega Luigi De Sanctis, partner di Oliver Wyman. Il motivo sta nel lavoro fatto fino ad oggi. Le banche si presentano ben più solide di due anni fa, quando è stata effettuata l’altra tornata di test. «In questi anni hanno preceduto a fare una profonda pulizia nel bilancio degli Npl e hanno ridotto i costi – aggiunge De Sanctis –, inoltre hanno lavorato molto sulla diversificazione del portafoglio titoli».

Lo stress test 2020, come detto, rimane il più duro dallavvio della Vigilanza unica. Il decremento cumulato del Pil a livello europeo del 4,3% entro il 2022 è il calo maggiore mai ipotizzato. Idem per quanto riguarda i tassi, che sono stati proiettati in territorio negativo per un periodo prolungato (i tassi swap a 5 anni sono visti al -0,5% nel 2020 e -0,4% per il 2021 e 2022). Sulle italiane peserà poi uno spread Btp-Bund a 350 punti base nel 2020, un dato comunque inferiore a quello registrato nella realtà al picco della crisi del debito nel 2011.

Il test di fatto premierà così «chi più ha lavorato per la diversificazione del business, bilanciando la componente degli interessi e delle commissioni per sopportare meglio la riduzione dei tassi – spiega il consulente – mentre l’incremento dello spread peserà inevitabilmente su chi ha puntato sui titoli di Stato».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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