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Pagamenti in 30 giorni per tutti

Pagamenti entro 30 giorni, con pochissime eccezioni. Questa è la regola generale nelle transazioni commerciali tra p.a. e imprese, ma anche tra impresa e impresa (B2B), introdotta nell’ordinamento italiano dal dlgs 192/2012 che ha recepito la direttiva comunitaria sui ritardati pagamenti. Le parti non possono decidere di allungare o meno i termini a proprio piacimento a meno che non vi siano circostanze eccezionali che legittimino lo slittamento del termine a 60 giorni (aziende pubbliche, sanità, particolari procedure di appalto come il dialogo competitivo).

Al di fuori di questi casi, il periodo massimo per saldare le fatture resta di 30 giorni. Dopo scatteranno gli interessi di mora fissati dal 1° gennaio 2013 all’8,75% (8% + il tasso Bce). La possibilità di deroga a 60 giorni, che appare come generalizzata nel dlgs 192/2012, rischia quindi di essere incompatibile con il dettato della direttiva 2011/7/Ue. E potrebbe anche portare all’avvio di una procedura di infrazione contro l’Italia.

È quanto è emerso nel corso dell’incontro organizzato ieri a Milano dalla Commissione europea con i rappresentanti delle istituzioni e del mondo economico per illustrare gli effetti del recepimento in Italia della direttiva contro i pagamenti lumaca.

Un’occasione che è servita ai rappresentanti dell’esecutivo di Bruxelles per ribadire alcuni concetti ancora oggetto di interpretazioni fuorvianti «anche a causa dell’ambiguità del testo italiano» (ha ammesso il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani).

Per questo Tajani ha annunciato che chiederà al nuovo governo una presa di posizione ufficiale entro il 16 marzo, pena l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia.

E poco importa che la bacchettata di Bruxelles possa essere attivata proprio dall’iniziativa del nostro commissario europeo. Tajani ha fatto della corretta applicazione della direttiva uno dei punti caratterizzanti del proprio mandato di commissario per l’Industria e l’Imprenditoria. E si è già attivato per chiedere al governo italiano di fugare ogni dubbio sull’ambito di applicazione della direttiva 2011/7/Ue. Cosa che è avvenuta con la recente circolare del ministero dello sviluppo economico (si veda ItaliaOggi Sette del 28 gennaio 2013) che ha chiarito che non esistono settori esclusi dall’applicazione della direttiva. Gli appalti pubblici, quindi, vi rientrano a tutti gli effetti. Ora però, secondo Tajani, la priorità è insistere sulla rigidità dei tempi di pagamento.

La regola generale è che le fatture vanno saldate entro 30 giorni, elevabili a 60 (e non oltre) in determinati settori (sanità, aziende pubbliche o particolari procedure di appalto quali il dialogo competitivo). Trascorsi questi termini iniziano a decorrere gli interessi di mora. «I ritardi nei pagamenti disincentivano gli investimenti stranieri», ha osservato Tajani.

«In tutto il mondo la base per fare affari è la certezza giuridica». In tutto il mondo tranne che in Italia, dove a causa delle attuali regole di contabilità pubblica è possibile iscrivere un debito a bilancio solo nel momento dell’effettivo pagamento e non invece nel momento in cui sorge l’obbligo giuridico a pagare.

«È un incentivo a non pagare», lamenta Tajani, «perché non pagando un debito questo non entra in bilancio, ma così facendo si finisce per sottomettere l’economia reale alle regole di contabilità, quando invece dovrebbe essere il contrario».

Intanto a livello europeo i ritardi di pagamento continuano a crescere raggiungendo il livello senza precedenti di 340 miliardi di euro. Di questi, almeno 100 miliardi di euro sono la fetta attribuibile all’Italia, sempre più maglia nera visto che la p.a. tricolore paga mediamente in 180 giorni quando invece la media Ue è di 162 e quella dei paesi nordici addirittura di 32 giorni.

Le insolvenze hanno portato alla perdita di 450 mila posti di lavoro e il 57% delle imprese europee ha avuto problemi di liquidità a causa dei ritardi di pagamento.

Ma se per il futuro la strada dovrebbe essere tracciata, come fare a risolvere il problema dei debiti pregressi? Cento miliardi di euro sono una cifra che, se sommata al debito pubblico, renderebbe impossibile il raggiungimento del pareggio di bilancio previsto per il 2014.

Come fare quindi a liberarsi di questo fardello? E soprattutto come conciliarlo con i rigidi vincoli di contabilità pubblica imposti a livello europeo? La soluzione potrebbe essere quella di escludere il debito monstre verso le imprese dal calcolo del debito pubblico.

E quindi dall’obbligo di pareggio di bilancio. La richiesta sarà oggetto di una riunione tecnica che Tajani avrà giovedì prossimo col collega (e commissario Ue per gli affari economici e monetari) Olli Rehn. E non è escluso che il tema possa diventare presto uno dei prossimi temi caldi della campagna elettorale. Anzi, l’auspicio di Tajani è proprio questo, perché per mettere la p.a. nelle condizioni di pagare in tempo servono regole contabili più flessibili. Altrimenti sarà difficile centrare gli obiettivi europei di arrivare al 70% delle fatture saldate entro 30 giorni.

Anche il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, si è detto d’accordo con la richiesta di escludere dal debito pubblico i 100 miliardi di euro attesi dalle imprese. L’edilizia, del resto, è forse il settore che più di tutti sta soffrendo per i ritardi nel pagamento delle fatture.

E il credit crunch, ossia la difficoltà di accesso al credito bancario, fa il resto. I costruttori hanno portato a casa la certezza che la direttiva Ue si applica agli appalti pubblici (così come chiarito espressamente dal Mise). Ma restano ancora alcuni nervi scoperti col governo di cui il prossimo esecutivo dovrà farsi carico. L’Imu sull’invenduto, per esempio, non va proprio giù ai costruttori che la considerano incostituzionale (per violazione del principio di uguaglianza) oltre che contraria alla normativa europea.


Autore: Francesco Cerisano
Fonte:

Italia Oggi

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