Dalla Redazione Investor, servicer e debt buyer

Specializzazione e collaborazione, le armi non convenzionali per stare sul mercato

Intervista a Carmine Evangelista, CEO di AZ Info&Collection

 

Ci racconta il percorso che vi ha portato ad affacciarvi al mercato del servicing?
C.E. La nostra storia inizia nel 2008 quando, insieme a pochi altri soggetti, siamo stati tra i primi ad offrire servizi di infoproviding, ovvero informazioni funzionali all’attività di recupero credito.
Fino a quel momento il nostro core business era legato esclusivamente alle investigazioni ma all’epoca intravedemmo in quell’area lo spazio per differenziare le nostre attività, occupando cosi uno spazio nuovo con quote di mercato sempre crescenti.
Nel 2010 siamo entrati anche nel mondo della collection fondando un’azienda la cui denominazione era Martin & Cooper poi fusa nella attuale AZ.
Non è stato un avvio privo di ostacoli perché il mercato del recupero crediti non è così banale come spesso si crede.
Abbiamo impiegato 5-6 anni con numerosi e cospicui investimenti per portare a break even la nostra business unit, aiutati in questo anche dalla maturazione del mercato italiano degli NPL che in quel periodo ha visto i volumi in gestione esplodere.
Non senza coraggio, nello stesso arco temporale, ci siamo lanciati nella sfida del servicing, sentendo che era il momento giusto per farlo ma ancora una volta abbiamo cercato di farlo con un posizionamento di mercato “di nicchia”.
Il mercato del servicing è dominato da grossi servicers istituzionali che hanno per vocazione e per scelta un’anima generalista.
Molti di loro sono nostri clienti nel nostro core business degli arricchimenti informativi e noi, per scelta, non competiamo mai con i nostri clienti.
Per questo abbiamo intrapreso la strada della specializzazione e ci siamo attrezzati per gestire determinati assets unsecured molto granulari che richiedono capacità massive di gestione in tempi brevi.
Oggi nessun operatore del mercato del servicing è in grado – talvolta per scelta strategica – di gestire da solo l’intera mole di crediti in circolo, soprattutto a causa della loro profonda differenziazione; per valorizzare al meglio ogni portafoglio c’è bisogno di una modalità di gestione efficace che può essere garantita soltanto da soggetti molto specializzati su segmenti specifici.
Partendo da questo presupposto, AZ ha scelto di posizionarsi nel servicing individuando le proprie verticali di lavoro in complementarietà a quelle scelte dai propri clienti, ponendosi così al loro fianco nei processi di work-out quotidiani. Ne è un esempio lampante il segmento dei defunti; gli operatori di settore sanno che all’interno dei portafogli ceduti sono presenti elevate percentuali di soggetti defunti (in taluni casi abbiamo visto queste percentuali schizzare anche al 30%) e del resto più i portafogli crescono più il tasso di morienza del debitore aumenta. Questo segmento, che nel suo complesso vale qualche miliardo di euro nominale, ha un valore di recupero non trascurabile che però, per essere estratto, ha bisogno di una fortissima specializzazione e capacità industriale di rintracciare gli eredi che solo un servicer con l’anima ed il know how da infoprovider può affrontare con profitto.
Estrarre valore da un segmento, che altrimenti rappresenterebbe una zavorra per il mercato, rappresenta una soluzione per tutto il sistema finanziario italiano poiché rimette in circolo ricchezza e valore che altrimenti non sarebbe disponibile.
Credo che oggi il mercato del servicer italiano abbia bisogno di mettere a disposizione degli investitori tutte le verticalizzazioni e le specializzazioni possibili per poter sviluppare un’industrializzazione e garantire performance elevate per tutti gli assets in lavorazione.

Come vi ponete rispetto al segmento degli UTP?
C.E. Anche in questo segmento ci sono le stesse necessità di specializzazione, soprattutto perché i crediti che stanno arrivando sul mercato sono molto più granulari rispetto al passato, con posizioni di small ticket che richiederanno le competenze di cui si parlava poco sopra.
Anche in questa ottica abbiamo fatto la scelta di farci certificare da Fitch per l’attività di servicing unsecured small ticket così da garantire, attraverso la certificazione di una primaria società di rating internazionale, il possesso del track record necessario unitamente alla robustezza organizzativa infrastrutturale e reputazionale per la gestione dei futuri flussi che ci aspettiamo arrivino presto sul mercato.

Come vedete la prossima stagione di M&A?
C.E. Siamo aperti e disponibili ad eventuali collaborazioni di natura industriale nella logica della costruzione di filiere virtuose per la gestione dei bad debts.
Per affrontare la grande complessità che ci aspetta, credo sia fondamentale fare parte di una squadra che, sulla base di partnership a geometria variabile, sia nella condizione di massimizzare l’estrazione del valore dai portafogli di crediti deteriorati.
Il nostro core business resta e resterà il data-providing che a mio parere è la leva strategica che consentirà di fare la differenza su tutti i punti della filiera del recupero, dalla due diligence fino alla vendita delle code di portafoglio sul mercato del secondario.
Nel contempo, se ci fosse l’opportunità di acquisire qualche competenza che non possediamo siamo pronti a coglierla, soprattutto sulla parte relativa alla collection. Ma la logica che vogliamo seguire è sempre quella industriale, con un orizzonte temporale medio-lungo, in coerenza con la nostra storia che non ha la visione del puro investitore, pronto ad uscire da un mercato dopo pochi anni.

ARTICOLO PUBLIREDAZIONALE