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Se il buongiorno (dei crediti deteriorati) si vede dal mattino americano, le banche italiane staranno fresche

Esercizio da manuale dell’analista finanziario. Prendi gli accantonamenti per perdite su crediti delle grandi banche statunitensi. Che, dai comunicati stampa del trimestre gennaio-marzo di Wells Fargo, Citi, Bofa, Goldman Sachs, sono aumentati tra quattro e cinque volte rispetto alle prassi degli ultimi anni: circa dimezzando i loro utili di periodo (che erano i più alti al mondo, essendo gli istituti più redditizi al mondo immersi nell’economia dove tutti vorrebbero operare). Li adatti alle banche italiane, alle prese da anni con la nota stitica economia dello zero virgola, ma che alla fine del terribile 2020 secondo i più autorevoli uffici studi vedrà il Pil perdere fino al 10%, tra fallimenti a catena e mancati rimborsi di crediti aziendali per parecchie decine di miliardi.

Aggiungici che nel secondo trimestre, come pure nel terzo, le cose non andranno meglio del primo: dovranno anzi andare peggio, prima di andare meglio. Aggiungici pure, per essere gentile, che molti di questi crediti delle banche tricolori sono adesso in “moratoria”, quindi congelati in freezer senza subire stralci o obblighi regolamentari di sorta: ma che il letargo difficilmente durerà oltre il prossimo autunno, e che il “bazooka” della liquidità pubblica sarà insufficiente e parziale.

Ecco ottenuto il ritratto natalizio delle banche italiane: una moltitudine di istituti con sofferenze e incagli creditizi tali da erodere buona parte degli utili, e in più casi anche una fetta del patrimonio regolamentare. Banche, quale più quale meno, in trincea, con primo obiettivo – chiaro fin d’ora, dietro le quinte – il sopravvivere, possibilmente senza chiedere soldi agli azionisti. Oppure allo Stato, come ha fatto balenare il capo della vigilanza di Bankitalia Paolo Angelini, audito dalla commissione di inchiesta parlamentare “per le banche che già presentavano elementi di fragilità”.

Autore: Andrea Greco
Fonte: Repubblica