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Mutui a tasso fisso ai tempi del coronavirus: mai così convenienti

La crisi prima economica e poi finanziaria innescata dal Coronavirus ha mandato al tappeto le Borse. Soprattutto nella prima fase (dal 19 febbraio al 23 marzo) quando i listini europei hanno perso in media il 40% e Wall Street (come non era mai accaduto nella storia) il 34%. Dopodiché gli investitori – iniziando a vedere un pizzico di luce in fondo al tunnel – hanno iniziato a concentrarsi sulla “fase 2” della gestione politica della pandemia, ovvero la parziale riapertura delle attività economiche. E questo spiega come mai le Borse abbiano recuperato una parte del terreno perduto. Nell’ultima parte di marzo e nella prima settimana di aprile il rimbalzo messo a segno dalle azioni è significativo, superiore al 20% tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.

Comprendere l’andamento e la volatilità dei mercati finanziari è decisivo anche per chi sta pensando di chiedere un nuovo mutuo, così anche per chi – comportamento che dovrebbe seguire ogni buon mutuatario – sta già rimborsando un prestito ipotecario ma controlla costantemente i tassi di mercato per valutare se è il caso di provare a cambiare il mutuo in corsa, attraverso le opzioni della rinegoziazione (con la stessa banca) o la surroga (spostando il contratto presso un nuovo istituto che offre condizioni più vantaggiose).

Perché tra mutui e Borse, tra mutui ed economia, vige una sorta di relazione inversa. Nel senso che quando l’economia tende a peggiorare (scenario di solito anticipato dalle Borse) i tassi dei mutui tendono a diventare più vantaggiosi. Perché i tassi dei mutui sono costruiti in modo tale che allo spread (deciso dalla banca e immutabile fino al termine del contratto) si affianchino due tassi interbancari, soggetti alla volatilità dei mercati. Per il tasso fisso le banche utilizzano gli indici Eurirs della stessa durata del mutuo (quindi se un mutuo è a 20 anni viene preso l’Eurirs a 20 anni e così via). Per i mutui a tasso variabile viene preso come punto di riferimento l’Euribor, sia nella versione a 1 mese che quello con la scadenza a 3 mesi.

Tanto gli Eurirs quanto gli Euribor variano ogni giorno, come fossero dei titoli azionari. La differenza tra tasso fisso e tasso variabile è che mentre nel primo caso la banca nel momento della stipula congela per il calcolo delle rate l’Eurirs di quel periodo (e quindi il tasso rimarrà agganciato al valore di mercato dell’Eurirs in fase di sottoscrizione) nel contratto a tasso variabile è previsto che ogni mese la banca ricalcoli il nuovo tasso sulla base dell’evoluzione degli indici Euribor.

La teoria vuole che quando le cose si mettono male (arretramento del Pil o addirittura recessione in vista) le banche centrali tendono a tagliare i tassi. Inoltre diminuiscono le prospettive di inflazione anche a medio-lungo termine (al cui andamento sono collegati gli Eurirs) e questo normalmente tende a far scendere ulteriormente i tassi interbancari. Compresi quelli utilizzati nella costruzione dei piani di ammortamento dei mutui.

Vediamo, passando dalla teoria alla pratica, se anche in questa circostanza le cose sono andate in questo modo. Da inizio anno l’Eurirs a 20 anni è calato di 32 punti base (con un picco di 68 punti base in meno registrato il 13 marzo), finendo addirittura in alcune giornate in territorio negativo. La fetta più importante di questo calo è stata registrata dalla seconda metà di febbraio, da quando come visto il Coronavirus ha infettato anche i mercati finanziari. Da metà marzo in poi – da quando anche le Borse sono risalite – è tornata un po’ più di fiducia sul futuro e anche gli Eurirs sono risalti restando comunque oltre 30 punti base in meno rispetto ai valori di inizio anno. Questo, tradotto sul mercato, ha reso i mutui a tasso fisso mai così vantaggiosi. Oggi è possibile stipulare un mutuo a tasso fisso intorno allo 0,5%-0,6%, tanto per i nuovi acquisti quanto per le surroghe.

I mutui a tasso fisso sono scesi a tal punto da superare in partenza in alcuni casi (sebbene per pochi punti base) addirittura i tassi dei mutui variabili, che pure orbitano intorno a percentuali simili. E questo è un paradosso finanziario dato che in partenza il tasso fisso (incorporando una sorta di assicurazione che protegge da un futuro rincaro dei tassi, polizza di cui il variabile è sprovvisto per natura) dovrebbe costare sempre un po’ di più del variabile.

L’aggancio (e in alcuni casi) il sorpasso in termini di convenienza del fisso sul variabile è avvenuto perché gli Eurirs sono scesi molto più degli Euribor che, invece, sono addirittura risaliti. Più nel dettaglio gli Euribor – che già in fasi normali hanno pochi margini di discesa dato che seguono da vicino il tasso sui depositi stabilito dalla Banca centrale (attualmente a -0,5%) – durante questa crisi sono aumentati di circa 15 punti base. Questo perché la crisi sta causando uno stress di liquidità a breve termine (e l’Euribor è uno dei tassi che ne esprime il costo assieme al Libor statunitense) sul mercato interbancario dato che la liquidità (seppur abbondante) è diventata una risorsa sempre più preziosa per mantenere in vita le aziende in tempi di “lockdown”.

La risalita degli Euribor ha comportato che ad aprile 2020, per la prima volta in 70 mesi, qualche mutuatario a tasso variabile abbia visto aumentare la quota interessi (seppur di pochi euro) all’interno della rata.
Dinanzi a uno scenario del genere le richieste di mutui a tasso variabile (che già prima del coronavirus) rappresentavano una quota residuale e non superiore al 10% del totale, sono destinate a scendere ulteriormente. Molto banalmente, se il fisso costa già in partenza meno o come il variabile, quale ragione dovrebbe spingere un aspirante mutuatario ad esporre la rata a futuri rialzi (seppur lievi) degli Euribor/rate?

Autore: Vito Lops

Fonte: Il Sole 24 Ore

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