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Bonus per i crediti deteriorati

Le imprese possono cedere i crediti deteriorati, ottenendo in cambio un credito di imposta che potrà essere utilizzato o ceduto a terzi.

Sono considerati deteriorati i crediti non incassati da oltre 90 giorni.

È quanto prevede il decreto legge «Cura Italia», approvato ieri dal Consiglio dei ministri, a seguito dell’emergenza coronavirus.

La cessione, nelle intenzioni dell’esecutivo, ha l’obiettivo di sostenere le imprese sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica.

I crediti cedibili possono essere sia di natura commerciale sia di finanziamento.

Il meccanismo. Anche per ridurre gli oneri di cessione, la disposizione prevista nel dl introduce la possibilità di trasformare in credito d’imposta una quota di attività per imposte anticipate (Dta) per un ammontare proporzionale al valore dei crediti deteriorati che vengono ceduti a terzi.

L’intervento consente alle imprese di anticipare l’utilizzo come crediti d’imposta, di tali importi, di cui altrimenti avrebbero usufruito in anni successivi, determinando nell’immediato una riduzione del carico fiscale.

Questo consente di ridurre il fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi, aumentando così la disponibilità di cassa, in questo periodo di crisi economica e finanziaria connessa con l’emergenza sanitaria.

In questo modo viene rispettata comunque la coerenza complessiva del sistema fiscale; infatti, a fronte di tale anticipazione, viene meno il meccanismo ordinario di riporto al futuro dei componenti oggetto di trasformazione.

Più in particolare, per le società che effettuano entro il 31 dicembre 2020 cessioni di crediti vantati nei confronti di debitori inadempienti, la disposizione introduce la possibilità di trasformare in credito d’imposta una quota riferita a perdite riportabili, non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 84 del Tuir, e «l’importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214», che alla data della cessione dei crediti non sono ancora stati computati in diminuzione, usufruiti o dedotti dal reddito imponibile.

Per quanto riguarda la definizione di debitore inadempiente, la norma stabilisce che può essere classificato inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre novanta giorni dalla data in cui era dovuto. La disposizione in esame non si applica alle cessioni di crediti tra società, che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.

La quota massima di Dta trasformabili in credito d’imposta è pari al 20% del valore nominale dei crediti ceduti. Viene posto un limite di due miliardi di euro di valore nominale ai crediti complessivamente ceduti entro il 31 dicembre 2020, che rilevano ai fini della trasformazione; per i soggetti appartenenti a gruppi, il limite si intende calcolato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate da soggetti appartenenti allo stesso gruppo.

Ma c’è un’incognita. Nella bozza di relazione a corredo del decreto legge in entrata viene fatto un esempio che sembra non considerare il 20% come un normale credito di imposta. Testualmente: «ciò comporta che se una società cede crediti per un mld, potrà trasformare in credito d’imposta al massimo una quota riferibile a 200 mln di euro di componenti indicati dalla norma, equivalente, supponendo che l’aliquota IRES applicabile sia quella ordinaria al 24%, a 48 mln di euro».

La trasformazione in credito d’imposta può avere luogo anche se le Dta non sono state iscritte in bilancio, purché siano riferibili ai componenti indicati dalla norma, non ancora dedotti o usufruiti alla data della cessione dei crediti.

La trasformazione avviene alla data della cessione dei crediti. Ciò significa che il credito d’imposta sorgerà per l’intero ammontare alla data di cessione dei crediti.

A decorrere dalla data di efficacia della cessione dei crediti, il cedente non potrà più portare in compensazione dei redditi le perdite, né dedurre o usufruire tramite credito d’imposta l’eccedenza del rendimento nozionale, corrispondenti alla quota di Dta trasformabili in credito d’imposta.

I crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione non sono produttivi di interessi e possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in compensazione o chiesti a rimborso. I crediti d’imposta vanno indicati nella dichiarazione dei redditi e non concorrono alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive.

Le società che vogliono procedere alla trasformazione di Dta in credito d’imposta devono esercitare apposita opzione entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti. L’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione. L’esercizio dell’opzione comporta il cumulo delle Dta trasformabili e di quelle trasformate nell’ammontare delle attività per imposte anticipate di cui al citato art. 11 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59.

La disposizione non si applica a società per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto.

Fonte: Italia Oggi

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