Dalla Redazione Fintech

Criptovalute tra speranza e speculazione: nasce il CoronaCoin

In piena emergenza da Coronavirus si continua a parlare di Bitcoin e criptovalute che vengono considerate sempre di più degli investimenti sicuri, a causa della loro “distanza” rispetto all’economia reale. Come abbiamo già scritto, il Bitcoin in questo periodo sta aumentando il suo appeal tra gli investitori tanto che ha visto salire notevolmente le sue quotazioni. Nonostante nell’ultima settimana il prezzo di Bitcoin sia diminuito dell’11% rispetto alla precedente, le sue prestazioni risultano in linea con le previsioni di PlanB, uno degli analisti più famosi dell’industria, secondo cui nel 2020 la moneta virtuale dovrebbe tornare a superare i 10.000 dollari. Anzi, secondo l’analista, dopo l’halving di maggio la corsa al rialzo vedrebbe l’asset digitale superare i 100.000 dollari prima di dicembre 2021.

Insomma un momento davvero d’oro per la criptovaluta che sembra aver convinto anche la più grande banca d’affari JP Morgan che fino a due anni fa era molto scettica sulle prospettive del Bitcoin. Negli ultimi mesi, la posizione degli analisti è profondamente cambiata e lo dimostra un report pubblicato a fine febbraio dove si mette in evidenza l’incremento dell’attrattività del Bitcoin per gli investitori istituzionali. Dall’analisi è emerso che blockchain e criptovalute hanno incrementato la rispettiva presenza e il loro uso nel corso del 2019, come testimonia l’aumento dei volumi di scambi giornalieri realizzati sul CME di Chicago. Inoltre, secondo il report di JP Morgan, nel corso del 2019 c’è stato un calo della volatilità del Bitcoin che comunque resta 5 volte più alta rispetto a quella di altri asset più tradizionali.

Ma, è proprio il caso di dirlo, non è tutto oro quello che luccica. Infatti, come sempre accade durante le crisi, c’è chi specula sull’emergenza. E purtroppo le criptovalute non sono immuni da questi fenomeni tanto che qualche giorno fa è spuntato il CoronaCoin, una criptovaluta lanciata su una piattaforma registrata nelle Isole britanniche dell’Oceano Indiano che consente ai trader di scommettere sull’epidemia di Coronavirus, in base a quante persone si ammalano o muoiono. Il numero di CoronaCoin in circolazione corrisponde alla popolazione mondiale, cioè leggermente superiore a 7,6 miliardi e la sua offerta diminuisce ogni due giorni in base al tasso di nuovi casi o di morti, comportando un aumento del prezzo con l’aumento di persone che vengono uccise dal virus. La notizia, per forza di cose, ha suscitato pesanti critiche, ma gli sviluppatori difendono la bontà del progetto spiegando che il “CoronaCoin è un’aggiunta radicale e preziosa al ricco arazzo di criptovalute che oggi è sul mercato”. È la prima e unica criptovaluta supportata dalla prova di morte, basata su statistiche ottenute dall’Organizzazione mondiale della sanità. “Inserendo le informazioni relative al numero di infezioni e decessi sulla blockchain – si legge nel libro bianco – i dati faranno capolino nei Paesi autoritari senza censure. Questo consentirà alle persone di tutto il mondo di comprendere il vero impatto del virus e prepararsi di conseguenza a potenziali conseguenze”. Addirittura, per attestare la bontà del progetto, è stato annunciato che il 20% dei fondi dalla vendita della moneta virtuale sarà donato alla Croce Rossa.

A completare il quadro delle monete virtuali arriva il report di KPMG che attesta come dal 2017 gli hacker abbiano compiuto furti di criptovalute per un totale di 9,8 miliardi di dollari. Sebbene l’intero settore valga 245 miliardi di dollari, la sicurezza resta ancora un forte punto interrogativo e questo dovrebbe rappresentare un’occasione di profitto per di chi offre servizi di custodia.