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Intesa lancia offerta da 4,9 miliardi su Ubi

Un’offerta carta contro carta su Ubi, non ostile ma neanche concordata. È la mossa a sorpresa – annunciata nella tardissima serata del 17 febbraio – con cui Intesa Sanpaolo si getta nel risiko bancario: la decisione è stata presa dal cda del gruppo guidato da Carlo Messina proprio nel giorno in cui l’ex popolare ha presentato il suo nuovo piano industriale al 2022.
Intesa Sanpaolo offrirà 17 azioni del nuovo gruppo ogni 10 azioni di Ubi, valorizzando quest’ultima 4,9 miliardi: la cifra corrisponde a un premio del 28% sui valori di venerdì 14 febbraio, prima del balzo con cui Piazza Affari ha salutato il piano di Victor Massiah. Secondo quanto si è appreso, la scelta di Messina e del cda di Intesa è caduta su Ubi, una delle banche più prossime al colosso milanese, non solo per l’affinità identitaria ma anche per la qualità della gestione e l’attenzione per i temi della sostenibilità.

L’operazione di Intesa non si ferma qua. Ca’ de Sass ha sottoscritto anche un accordo con Bper, vincolato all’esito positivo dell’operazione con Ubi, per cedere 400/500 filiali nel Nord Italia. Per finanziare quest’operazione Bper ha varato un aumento di capitale da un miliardo di euro. Non solo, in caso di successo dell’operazione Unipolsai dovrebbe rilevare i rami d’azienda delle compagnie assicurative Bancassurance Popolari, Lombarda Vita e Aviva Vita partecipate da Ubi Banca.

L’obiettivo dell’offerta promossa da Intesa Sanpaolo è acquisire l’intero capitale sociale di Ubi banca (o almeno una partecipazione pari al 66,67%, come indicato tra le condizioni di efficacia dell’Offerta o, comunque, in ogni caso almeno pari al 50% del capitale sociale più 1 azione ordinaria di Ubi) e conseguire la revoca delle relative azioni dalla quotazione sull’Mta.
Intesa ritiene che la revoca dalla quotazione di Ubi «favorisca gli obiettivi di integrazione, di creazione di sinergie e di crescita del gruppo».

L’operazione, nei piani, dovrebbe consentire di creare il settimo gruppo bancario in Europa per attivi, in grado di realizzare utili consolidati stimati a oltre 6 miliardi nel 2022. Previste sinergie derivanti dall’aggregazione e stimate a regime in circa 730 milioni ante imposte per anno, con costi di integrazione una tantum stimati complessivamente in 1,27 miliardi.

L’offerta, come accennato, non è stata concordata. Per questa ragione Ubi Banca ha fatto sapere di voler convocare un cda straordinario per valutare l’offerta. I tempi di convocazione non sono ancora definiti, complice il fatto che ieri l’a.d. di Ubi, Victor Massiah, era volato a Londra per presentare il nuovo piano industriale dell’istituto.

La notizia ha innescato un rally del titolo Ubi Banca in Borsa le cui azioni mostrano un rialzo di oltre il 26 per cento nei primi scambi. Bene anche Intesa Sanpaolo. Grazie alla performance dei titoli del credito Piazza Affari è l’unica tra le Borse europee in rialzo questa mattina.

Positivo il commento degli analisti di Jp Morgan all’operazione secondo cui l’obiettivo di Intesa è «acquisire un flusso di utili e creare sinergie per sostenere i dividendi dopo il 2020». Secondo gli analisti Intesa ora può puntare a «oltre 20 centesimi di dividendo per azione dal 2020, pari a un ritorno dell’8% annuo». D’altro canto c’è chi sostiene che la valorizzazione di Ubi sia troppo bassa come gli analisti di Intermonte secondo cui «l’attuale valutazione di Ubi non tiene conto del miglioramento della qualità degli asset, del capitale solido e della positiva direzione degli utili». Intesa – segnalano gli analisti di Equita – offre 17 azioni Intesa (al netto dei dividenti) per ogni 10 Ubi, valutando così Ubi 0,6 volte il patrimonio tangibile e 12 volte gli utili attesi per 2020 con un premio del 16% rispetto ai prezzi di chiusura di ieri e del 28% rispetto alla chiusura di venerdì.

Sul prezzo di offerta peraltro si è espresso lo stesso numero uno di Intesa Carlo Messina definendolo «equo». Parlando con gli analisti nel corso della conference call di presentazione dell’operazione l’a.d. ha quindi ribadito che la banca non ha nessuna intenzione di cambiare le condizioni. «La nostra proposta – ha aggiunto l’ad. – non è amichevole in un senso tecnico, del resto non avremmo potuto fare diversamente, ma pensiamo che il management team di Ubi sia forte, che Victor Massiah sia un ottimo a.d. e che Letizia Moratti sia un presidente molto forte con il giusto approccio sul valore e i principi esg». Messina ha poi aggiunto: «Speriamo che possano considerare da un punto di vista amichevole questa transazione, ma ribadisco la mia volontà di parlare anche a tutte le persone che lavorano in Ubi. Se l’operazione sarà conclusa sono pronto a considerare dal primo giorno la loro gente come se fosse la mia e a offrire a tutti opportunità significative di essere leader nel nostro gruppo».

Due banche simili ma anche diverse, se non altro dal punto di vista delle dimensioni. Intesa Sanpaolo è oggi uno dei principali gruppi bancari in Europa con una capitalizzazione di mercato di circa 40 miliardi di euro. Il gruppo vanta una posizione di leadership in Italia in tutti i settori di attività, dal retail al corporate fino al wealth management con una quota di mercato del 18% nei depositi e 17% nei crediti: cifre, queste, destinate a essere ulteriormente accresciute nel caso in cui l’operazione Ubi dovesse andare in porto, e che saranno vagliate ovviamente dall’Antitrust.

Oggi Intesa conta circa 11,8 milioni di clienti grazie al supporto di circa 3.800 sportelli sparsi su tutto il territorio nazionale con quote di mercato non inferiori al 12% in 17 regioni su 20. Per anni si sono ipotizzate mosse all’estero, dove il gruppo vanta una presenza di circa 1.000 sportelli e 7,2 milioni di clienti, incluse le banche controllate operanti nel commercial banking in 12 Paesi in Europa centro-orientale e in Medio Oriente e Nord Africa e una rete internazionale specializzata nel supporto alla clientela corporate in 25 Paesi. Sul 2018, la banca ha pagato 3,4 miliardi di euro di dividendi, mentre sono stati proposti 3,4 miliardi di dividendi per il 2019.

Ubi, da parte sua, rappresenta il terzo gruppo gruppo bancario del paese per capitalizzazione dopo Intesa, e UniCredit. Nata il primo aprile 2007 dalla fusione di Bpu e Banca Lombarda e Piemontese, dal 2015 la banca ha abbandonato il suo status di banca popolare per diventare un Spa.

Il gruppo oggi è essenzialmente domestico, vanta una copertura multiregionale con circa 1600 filiali, di cui 608 in Lombardia e 144 in Piemonte e una rilevante presenza nel Centro e Sud Italia. Il gruppo guidato da Victor Massiah, che ha appena presentato un piano industriale triennale, conta circa 20mila dipendenti.

Nel contempo come detto, Bper ha sottoscritto con Intesa Sanpaolo un contratto che prevede, in caso di perfezionamento dell’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria promossa dalla stessa Intesa Sanpaolo su Ubi, di acquisire un ramo d’azienda composto da circa 1,2 milioni di clienti distribuiti su 400/500 filiali bancarie, ubicate in prevalenza nel nord del Paese. La mossa servirebbe a Intesa per problemi di concentrazione, per Bper un’opportunità per spostare il baricentro nel Nord Italia.

Autori: Luca Davi e Andrea Franceschi
Fonte: Il Sole 24 Ore