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Cattivi pagatori, black list senza trappole

Da una parte ci sono i dati, che registrano come gli italiani siano dei buoni pagatori. Dall’altra ci sono le regole per evitare che anche chi non salda – magari in via temporanea – le rate del mutuo non sia perennemente bollato come debitore. I numeri di Crif (Centrale rischi finanziari) dicono che nel primo semestre 2019 il tasso di default del credito al dettaglio da parte delle famiglie italiane – che misura sofferenze e ritardi nell’ultimo anno di rilevazione – è sceso ancora, attestandosi all’1,7 per cento. Calano i mancanti pagamenti nei prestiti personali (il tasso di default è al 2,6%), nei prestiti finalizzati (siamo all’1,2%) e anche nei mutui immobiliari (il livello di rischio è all’1,3%, al di sotto del livello pre-crisi).

Anche se il credito è sempre meno esposto a episodi di morosità, servono comunque le regole per gestire le informazioni custodite dai Sic (Sistemi di informazione creditizia), in particolare quelle riferite ai cattivi pagatori. Regole che già esistevano, ma che il Garante della privacy ha provveduto ad aggiornare, su indicazione delle associazioni di categoria, per allinearle al Gdpr, il regolamento che ha introdotto una disciplina della protezione dei dati personali valida per tutta la Ue. Non solo: la rivisitazione del codice deontologico per i sistemi informativi gestisti da privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti ha offerto anche il destro per allargarne l’area di azione, andando oltre il perimetro precedente limitato a prestiti e mutui. La digital economy ha, invece, imposto nuove forme di credito, come quelle gestite attraverso piattaforme tecnologiche Fintech, oltre ai noleggi a lungo termine e ai leasing.

Le nuove garanzie

Protezione dei dati contro i furti o collassi del sistema, misure di sicurezza avanzate per fare in modo che resti circoscritto il numero di persone che li può consultare, un’adeguata informativa per spiegare a chi chiede un prestito quale fine fanno le informazioni che banche o finanziarie trasferiscono al Sic. E ancora, tempi di conservazione certi per evitare effetti perversi (si veda la scheda a fianco): se così non fosse, chi, per esempio, ha saltato due o più rate di un prestito ma poi ha rimediato, correrebbe il rischio di portarsi dietro a lungo la nomea di cattivo pagatore.

Sono questi i presupposti del nuovo codice, che però si ritrovano in buona parte anche nella stesura delle vecchie regole deontologiche. Ci sono, però, alcune novità che rafforzano le garanzie poste a tutela di chi rischia di finire nella black list dei debitori. Intanto, la semplificazione dell’obbligo di preavviso verso la persona che il Sic sta per incasellare nell’elenco dei cattivi pagatori. Il preavviso poteva, finora, essere inviato con una raccomandata con ricevuta di ritorno o attraverso una Pec (posta elettronica certificata). Pure in questo caso si è ritenuto di dover stare al passo con la tecnologia: così il preavviso potrà essere spedito anche attraverso un messaggio dal telefonino, purché la modalità sia stata concordata con l’interessato ed esista la possibilità di tracciare l’avvenuta consegna della comunicazione.

In termini di trasparenza c’è, poi, la possibilità per chi si vede rifiutare un prestito sulla base di indici di rischiosità elaborati attraverso algoritmi, di chiedere alla banca o alla finanziaria sia le informazioni che hanno costituito la base per l’elaborazione del diniego sia la logica di funzionamento del sistema di calcolo che ha portato al “no”.

Il monitoraggio

Sul funzionamento del nuovo codice vigilerà un organismo di monitoraggio di tre componenti: uno designato dal Consiglio nazionale consumatori e utenti, un altro dalle categorie che hanno sottoscritto il codice, mentre il terzo, che svolgerà il compito di presidente, sarà indicato dai primi due. Alla costituzione dell’organismo di monitoraggio è anche legata la piena operatività delle regole di condotta, che diventeranno efficaci dopo che l’ortanismo di vigilanza sarà stato accreditato dal Garante presso l’Edpb (European data protection board), il comitato che riunisce le Autorità della privacy dell’Unione.

Ora, dunque, si è in mezzo al guado: da una parte il vecchio codice deontologico ha smesso di funzionare il 19 settembre scorso, perché così ha stabilito il decreto legislativo 101 del 2018 che ha armonizzato le vecchie regole nazionali sulla protezione dei dati con il Gdpr; dall’altra, il nuovo codice non è ancora formalmente operativo. «C’è, però, l’impegno da parte dei sottoscrittori – spiega Valeria Racemoli, di Crif – ad applicarlo da subito, in attesa dell’entrata in vigore ufficiale». Sui cui tempi nessuno è in grado di dare certezze.


Fonte: Il Sole 24 Ore

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