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Rivoluzione digitale in banca: dati condivisi e open banking, senza frontiere

Jack Ma ha lanciato la sua sfida nel 2015 a Walmart: in dieci anni la sua Alibaba avrebbe superato in fatturato la rivale. Per conquistare 10mila nuovi clienti il colosso della grande distribuzione “fisica” avrebbe dovuto costruire almeno un nuovo supermercato: «A me bastano solo due server», aveva spiegato. Jack Ma ha lasciato proprio questa settimana la guida della sua creatura che nel frattempo ha allargato il suo campo d’azione anche ai servizi finanziari: Alipay è arrivata in tutto il mondo al seguito dei turisti cinesi e il gruppo è diventato uno dei più grandi asset manager a livello globale.

D’altra parte è sempre più evidente che la sfida anche per le banche si è spostata sulla tecnologia: il futuro si gioca sulla capacità di offrire servizi finanziari “invisibili”, eliminando qualsiasi tipo di difficoltà. Da questo punto di vista il digitale offre soluzioni sempre più innovative e specifiche con cui i colossi bancari faticano a familiarizzare, ma su cui si gioca ora la competizione con l’abbattimento di frontiere tra mercati e l’abbassamento delle barriere all’ingresso.

La stessa Psd2 che entra oggi nella sua piena operatività è frutto di questo mondo in rapida evoluzione: la nuova direttiva europea sui sistemi di pagamento punta ad adeguare e armonizzare le norme a livello comunitario di fronte ad abitudini d’uso che vanno cambiando rapidamente spostandosi sempre più sulla mobilità. Lo smartphone non è più solo uno strumento di pagamento alternativo al portafoglio, ma in prospettiva diventa l’interfaccia bancaria privilegiata, l’alternativa vera alla filiale bancaria.

Proprio per adeguare le esigenze di sicurezza in mobilità, da oggi l’accesso al proprio conto diventa più protetto con sistemi di “strong customer authentication” che accoppiano almeno due sistemi tra il possesso del telefonino, un’impronta digitale e un codice. La Psd2 non si ferma qui e si spinge ad “aprire” i conti correnti alla possibilità di nuovi servizi: a partire da oggi le banche dovranno mettere a disposizione tutte le informazioni a favore di soggetti terzi che lo chiedano. Ben inteso, sempre che il cliente sia d’accordo. In effetti non si tratta di mettere il naso dentro il portafoglio del cittadino o delle imprese, ma di trasformare quelle informazioni finora dormienti e ignorate in servizi nuovi. A partire da semplici aggregatori che permettano all’utente di avere sotto mano i dati su diversi conti o carte di credito per proseguire con ipotesi di comparatori che mettano a confronto i costi veri dei servizi di ogni istituto fino ad arrivare a interi servizi di “light banking” fatti su misura per target specifici..

Ma sono solo alcune ipotesi perché con questa semplice apertura si apre un mondo tutto da definire di nuovi servizi e nuovi attori. In un contesto regolamentare più armonizzato con Psd2, il digitale annulla le distanze. «Gli elementi abilitanti sono diversi – spiega Laura Grassi, direttore dell’Osservatorio Fintech del Politecnico di Milano -: un metodo innovativo o più efficiente per acquisire i clienti; un modello di distribuzione completamente digitale, con assenza totale di una rete fisica sul territorio; l’utilizzo dei dati raccolti per estrarne valore; l’offerta a un segmento ben identificato di clientela per rispondere ad un’esigenza specifica e a volte circoscritta; l’offerta su clienti non raggiunti dai attori tradizionali, per motivi geografici o di ritorno economico; l’innestarsi in “zone di grigio” della regolamentazione».

La lezione di Alibaba è diventata un modello per tante fintech. Pochi giorni fa N26 ha annunciato lo sbarco in Svizzera. Un’altra challenging bank come Revolut ha aperto una campagna di internazionalizzazione globale partendo dall’Australia. La stessa banca londinese ha lanciato a inizio agosto il servizio di trading a commissioni zero in tutta Europa, anche per rispondere all’offensiva di Robinhood, il campione americano della zero commissioni pronto a sbarcare nel Vecchio continente. Con servizi che grazie alle nuove piattaforme di Api potranno entrare agilmente nell’offerta di banche e altri soggetti finanziari.

«Ben il 37% delle startup fintech & insurtech ha uno scope internazionale, con alcune differenze però tra i settori. Quello assicurativo è ancora molto legato ai confini nazionali, perché l’innovazione in questo ambito è più recente rispetto agli altri. Il settore dei servizi finanziari, in particolare l’asset management, è il più internazionale», prosegue Laura Grassi.

Alcune fintech straniere sono sbarcate in Italia come le due francesi Qonto, attiva nell’offerta di servizi bancari per microimprese, e October, che ha allargato anche al servizio delle Pmi nostrane il suo servizio di peer-to-peer lendiong. Alla stessa stregua anche per le fintech italiane si aprono opportunità. Moneyfarm è già presente in Uk e Germania, mentre Satispay si prepara a fare il grande salto: «Dopo solo cinque anni, ci accingiamo a sbarcare nei prossimi mesi in un grande mercato come Germania e Lussemburgo – anticipa il Ceo Alberto Dalmasso -. Lo facciamo con il vantaggio di avere dimostrato la validità del modello, di avere in essere accordi con grandi brand globali che potranno aiutarci nella spinta alla creazione della rete di accettazione locale e di aver raggiunto un livello di sviluppo tecnologico tale da permetterci di partire già integrati con POs, registratori di cassa e qualsiasi altra cosa si trovi in negozio per la gestione dell’incasso».


Autore: Pierangelo Soldavini
Fonte: Il Sole 24 Ore

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