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UniCredit studia la newco per riunire le banche estere

Una sub-holding estera, basata in Germania, in cui ricondurre tutte le attività estere, dalla stessa Germania all’Austria, dalla Turchia all’Est Europa. E sopra, a controllare il tutto, la holding “madre” italiana.

È un progetto ad ampio respiro quello che si sta studiando in casa UniCredit. La banca di piazza Gae Aulenti, a quanto risulta a Il Sole 24 Ore, ha aperto una gara a cui hanno aderito diversi advisor, finalizzata a trovare il soggetto che aiuterà a rivedere l’architettura societaria. Il processo, benchè alle battute iniziali, sta prendendo forma. Anche perché l’obiettivo finale sarebbe già chiaro: ovvero quello di far emergere l’anima pan-europea di un gruppo che, oggi al contrario, vede tutte le controllate fare capo alla holding italiana, singolarmente. Il riassetto, nelle intenzioni del management, migliorerebbe la resolvability del gruppo. Tradotto, permetterebbe di ottimizzare la struttura e rendere più ordinata la risoluzione della banca nell’eventualità (estrema) di una crisi, riducendo così le richieste del regolatore ai fini Tlac. E inoltre consentirebbe, dettaglio non secondario, di ridurre il costo del funding.

La struttura allo studio

Obiettivi non banali da realizzare, va detto. E che da tempo sono al centro delle riflessioni della banca guidata da Jean Pierre Mustier, sul cui tavolo ci sarebbero diverse soluzioni e strutture societarie. Allo stato attuale, tuttavia, il progetto in pole position prevede il raggruppamento di tutte le attività estere, esclusa l’Italia, sotto una holding che verrebbe basata realisticamente in un paese a Tripla A, come la Germania (dove il gruppo è presente tramite la controllata Hvb). L’impatto positivo più evidente di questa mossa si rifletterebbe sul costo della raccolta della banca, perché consentirebbe di emettere debito beneficiando del rating del paese della sub-holding.

Con la creazione di una holding estera, UniCredit – che oggi peraltro avrà un Cda – punta anche ad alleggerire il peso di una delle grandi “zavorre” del gruppo , ovvero il rischio Italia, che si sta facendo sentire sulla valutazione di una banca che ha oltre la metà dell’attivo fuori dai confini italiani. A quanto risulta, infatti, sotto all’ombrello della divisione estera rientrerebbero tutte le 13 realtà territoriali estere, le cosiddette operational company: si va dall’Austria, alla Germania, Russia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Bulgaria e Turchia. Ancora non è chiaro quale possa essere il punto di atterraggio di questa trasformazione. Le singole divisioni potrebbero mantenere una loro autonomia giuridica (con i singoli Cda) ma secondo alcune indiscrezioni non è escluso che le realtà estere possano essere trasformate in “filiali” estere tout-court. Il ceo di UniCredit, Jean Pierre Mustier, alla presentazione dei risultati del terzo trimestre 2018, aveva annunciato che tutte le società del gruppo si sarebbero dovute autofinanziare.

La semplificazione societaria

L’altro effetto atteso da un progetto simile è l’ottimizzazione della struttura ai fini regolamentari. I dialoghi informali tra la banca e Bce e il Single resolution board in questo senso sarebbero già in corso. Come detto, la banca starebbe infatti studiando l’assetto migliore in termini di assetto societario ai fini della conformità al Tlac, normativa a cui è sottoposta in quanto banca di rilevanza sistemica (G-Sib). L’istituto potrebbe così ridurre l’applicazione del requisito minimo di emissioni che hanno la funzione di assorbire le perdite prima di altre passività in caso di risoluzione.

L’altra gamba del progetto è rappresentata dall’anima italiana del gruppo, che rimane centrale. A quanto risulta al Sole, la scatola estera sarebbe infatti controllata al 100% dalla holding italiana. Holding madre che verrebbe confermata in Italia, a Milano, dove il gruppo manterrebbe la sede, il quartier generale e la quotazione del titolo, e sotto cui ricadrebbero tutte le attività domestiche.

La banca, interpellata sul tema dell’apertura del dossier relativo al riassetto, non commenta. Ma ricorda che lo scorso 7 maggio, in occasione della cessione del 17% di Fineco, in una nota aveva segnalato che stava valutando una possibile «evoluzione della struttura del gruppo» nell’ottica di aumentare la flessibilità e, in particolare, ottimizzare «il costo della raccolta». Così come segnala che più volte del resto Jean Pierre Mustier ha dichiarato l’intenzione di mantenere le radici salde nel paese. «Siamo una banca felicemente basata in Italia e quotata in Italia e continueremo a esserlo».

D’altra parte va detto che le complessità di un piano del genere non mancano, dagli aspetti fiscali a quelli legali, alla governance. Anche per questo motivo l’intero progetto non è escluso possa vedere la luce a valle della presentazione del piano industriale, prevista per inizio dicembre. Insomma, se è vero che da tempo si parla di una revisione dell’architettura societaria della banca di piazza Gae Aulenti (come anticipato da Il Sole lo scorso 21 novembre), ora qualcosa sembra muoversi in maniera più strutturata. Si vedrà col tempo se la revisione si fermerà qua. Oppure se è solo il primo passo di un riassetto più significativo, magari in vista di un processo di M&A a livello europeo che rimane pur sempre sullo sfondo.


Fonte: Il Sole 24 Ore