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Intervista a Danièle Nouy: «Sugli Npl buon lavoro delle banche italiane. Ora garanzia europea sui depositi»

FRANCOFORTE – «Il livello degli Npl è ora circa 650 miliardi rispetto ai 1000 miliardi che abbiamo trovato quando l’Ssm (Single supervisory mechanism) ha iniziato a operare. Mille miliardi di crediti deteriorati facevano paura! Le banche italiane in particolare hanno fatto un buon lavoro nella riduzione dei Npl. L’Ssm ha ridotto in maniera significativa i rischi nel sistema bancario nell’area dell’euro, dunque i tempi sono maturi per iniziare il cammino verso Edis, lo schema europeo di assicurazione dei depositi».

Serve subito una tabella di marcia per andare avanti sulla condivisione dei rischi, che deve progredire in parallelo alla riduzione dei rischi. Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza del Mvu (Meccanismo di vigilanza unico o Ssm), termina questo dicembre il suo mandato quinquennale alla guida della supervisione bancaria europea: 127 banche significative, quasi 3.000 meno significative con asset totali per oltre 26.400 miliardi. La sua parte l’ha fatta. «Abbiamo conseguito il nostro compito», dice con una punta di orgoglio nella sua ultima intervista alla stampa italiana in veste di Chair: i rischi sono calati, anche grazie alle banche italiane, e ora bisogna raggiungere l’altra sponda del fiume e ultimare l’Unione bancaria, perché «non possiamo rimanere in mezzo al guado».

Il sistema bancario europeo è più solido e più sicuro rispetto alla fine del 2014 quando l’Ssm ha iniziato a operare?
Abbiamo conseguito il nostro compito, rendendo il sistema bancario europeo più sicuro e più solido, in grado di servire meglio famiglie e imprese europee e finanziare l’economia. Rispetto al 2015, le banche vigilate dall’Ssm hanno più capitale e, quel che è più importante, hanno un capitale di migliore qualità. Il capitale di base di classe 1 è salito da circa il 12% del 2015 a circa il 14% in media. E questo sebbene alcune banche abbiano utilizzato parte delle loro riserve per ridurre i crediti deteriorati, incassando le perdite. Ma non è solo una questione di capitale: le banche gestiscono e controllano meglio la liquidità, che è migliorata. Inoltre abbiamo tratto vantaggio da nuove regole sulla governance.

Il problema degli Npl è dunque risolto? Come valuta i progressi delle banche italiane? 
Il livello degli Npl è ora circa 650 miliardi rispetto ai 1000 miliardi che abbiamo trovato quando abbiamo iniziato ad operare all’Ssm. Mille miliardi di crediti deteriorati facevano paura! Ora le banche sono più sicure. Le banche italiane in particolare hanno fatto un buon lavoro nella riduzione degli Npl. Il livello sta scendendo di giorno in giorno. Ma bisogna andare avanti, fare di più.

Quindi il sistema bancario italiano è più sicuro rispetto al 2015? 
Come accade in altri Paesi, in Italia avete una vasta varietà di banche diverse: è un mercato interessante, il vostro. E dunque la situazione cambia molto di banca in banca. Per esempio, IntesaSanPaolo è stata nel 2016 la migliore banca europea nel superare gli stress test Eba. E ci sono banche che sono riuscite a gestire con successo inversioni di tendenza come Unicredit. Altre invece hanno ancora lavoro da fare per migliorare.

Le banche italiane hanno ora un altro problema: lo spread salito da 150 a 300 punti. 

Questo spread più alto certamente non è il benvenuto. Sarebbe un vero peccato se le banche italiane, che si sono impegnate così a fondo per ridurre gli Npl e migliorare i bilanci, dovessero perdere i benefici di questi loro sforzi. E questo avrebbe un impatto sulla disponibilità del credito all’economia.

I titoli di Stato detenuti dalle banche sembrano frenare Edis, lo schema europeo di assicurazione sui depositi e l’Unione bancaria…
Prima avremo Edis e meglio sarà. L’Ssm ha ridotto in maniera significativa i rischi nel sistema bancario nell’area dell’euro. Tutti riconoscono questo, anche se alcuni continuano a richiedere ulteriori riduzioni. Dico chiaramente che i rischi sono stati ridotti e che i tempi sono maturi per iniziare il cammino verso Edis. La posizione della Bce su questo è nota: la riduzione dei rischi e la condivisione dei rischi devono progredire in parallelo. Ora abbiamo bisogno di una tabella di marcia per andare avanti sulla condivisione dei rischi, con tappe verificabili e quantificabili. Le debolezze emerse con la crisi ci hanno portati all’Unione bancaria, abbiamo preso la decisione di «attraversare il fiume». Abbiamo lasciato indietro su una sponda la supervisione bancaria a livello nazionale ma non abbiamo ancora raggiunto l’altra sponda. Ora siamo a metà del guado. E questo non è il posto migliore dove trovarsi quando arriva la piena. Dobbiamo raggiungere l’altra sponda.

Altro tema caldo: l’esposizione delle banche su strumenti derivati, Level 2 e Level 3 assets: questi rischi sono sotto controllo?
La regolamentazione e supervisione dei derivati è stata migliorata. E le banche hanno ridotto l’uso di prodotti complessi, hanno imparato dagli errori fatti. Level 2 e Level 3 asset non sono prodotti tossici di per sé: si tratta solo di esposizioni più complesse da valutare. Il nostro lavoro di vigilanza si focalizza sulla corretta classificazione di queste esposizioni e sulla solidità dei sistemi di valutazione. Per le nostre valutazioni combiniamo una serie di elementi. A breve avvieremo anche un nuovo esercizio di raccolta dati sulle istituzioni più grandi per controllare se davvero sappiamo tutto ciò che dovremmo sapere.

Quando sarà?
Tra qualche settimana, se non dovremo apportare grandi cambiamenti al questionario che stiamo mettendo a punto.

Il sistema bancario europeo resta “overbanked”. Che fare?
Le fusioni transfrontaliere e il consolidamento a livello domestico dovrebbero essere incoraggiati, perché sono delle buone soluzioni per ridurre l’eccesso di capacità. Ma ci sono grandi differenze da paese a paese. Abbiamo 3mila banche meno significative in Europa (quelle di minori dimensioni vigilate direttamente dalle autorità di supervisione nazionali, ndr): la metà sono in Germania, un quarto, il 25%, in Italia e Austria. Abbiamo bisogno in Europa di tutti i tipi di banca, grande, media, piccola, universale, specializzata, quotata e non, pubblica o privata. Ma abbiamo anche bisogno di amministratori e alti dirigenti capaci di dare la giusta sterzata. A oggi alcuni cda non hanno ancora completato la revisione del modello di business per valutare se i loro istituti saranno redditizi nel medio periodo.

Quali sono le principali sfide che dovrà affrontare Andrea Enria, il suo successore? 
Andrea Enria ha una vasta esperienza. E ha tutte le qualità necessarie per essere un bravo presidente del Consiglio di vigilanza. Le sfide? La redditività è la questione più grande per la maggior parte delle banche vigilate dall’Ssm: e l’Ssm dovrà continuare a monitorare i progressi su questo fronte. Poi bisogna andare avanti nella riduzione degli Npl e nell’armonizzazione delle regole e dei sistemi legali. L’Unione bancaria va portata a termine, soprattutto con Edis. E bisogna rafforzare la lotta al riciclaggio di denaro sporco nel sistema bancario europeo: c’è un progetto per dare all’Eba più potere per contrastare i rischi del money laundering. Tutti questi miglioramenti sono benvenuti.

E le sue sfide? Qual è stata la decisione più difficile che ha dovuto prendere all’Ssm, dove avete un ritmo di 2.500 decisioni all’anno?
Le decisioni più difficili sono quelle che hanno conseguenze dolorose per i clienti delle banche, per i depositanti e investitori. Lavoro nel mondo della supervisione bancaria da 45 anni e ogni volta che ho dovuto prendere una decisione nella consapevolezza che la mia decisione avrebbe avuto ripercussioni dolorose per famiglie e imprese, come nel caso delle banche in dissesto o a rischio di dissesto (failing-or-likely-to-fail) mi creda, non è mai stato facile.


Autore: Isabella Bufacchi
Fonte:

Sole 24 ore

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