Dalla Redazione In Evidenza NPL e crediti deteriorati

Il potere attrattivo delle procedure concorsuali nella crisi d’impresa quale fattore di rischio nella valutazione dei crediti deteriorati delle Banche

Il focus delle considerazioni che seguono si accentra principalmente sulla valutazione e la gestione da parte degli operatori del mercato, dei crediti bancari in sigla UTP ( Unlikely to pay) che non si trovano ancora in una situazione definita di insolvenza, ma neanche possono essere considerati scevri da elementi di criticità. La loro consistenza e il loro comportamento nel prossimo futuro, tra lo spartiacque del rientro in bonis o dello scivolamento a sofferenza, potrà determinare una variazione importante dello scenario nei bilanci delle Banche e nella valorizzazione dei portafogli ai fini di possibili cessioni.

La loro composizione in generale, sia che si parli di NPL (Non performing loans) che di UTP,  che secondo una delle più recenti stime ( Fonte Banca Ifis) ammontavano a settembre 2017  complessivamente a circa  278 miliardi di euro di esposizioni deteriorate di cui 1/3 pari a 99 miliardi rappresentato dagli UTP ,   è fortemente indirizzata al mondo delle imprese (oltre il 70% ) che sono i maggiori utilizzatori della liquidità erogata dalle banche. Questo progressivo aumento  dei crediti deteriorati accumulati che, rapportato al PIL italiano  2017 pari a € 1.596, 04 miliardi (Fonte Istat) si presenta con un impatto percentuale la cui rischiosità  è subito evidente , ed è in larga parte il risultato della lunga fase recessiva che ha colpito l’economia italiana negli ultimi anni .

La crisi di questo decennio è esplosa in due differenti fasi:  

1) la recessione post 2008, generata dalla bolla dei mutui sub prime (Usa)  da cui alcuni scellerati criteri di erogazione del credito ipotecario in Italia non erano poi così distanti (vedi ad esempio i mutui “loan to value” dove si finanziava al privato, oltre all’intero prezzo dell’immobile, anche  il costo del notaio e del mobilio oppure le operazioni ipotecarie di consolidamento del debito per clienti sub prime a condizioni di tasso poco superiore a quelle per acquisto casa) e che hanno generato un forte aumento di nuovi crediti deteriorati nelle nostre banche.

2) la crisi del debito sovrano che ha avuto inizio  nella seconda metà del 2011 e ha colpito anche l’Italia (terza economia dell’Unione)  dove il rendimento dei Btp decennali ha raggiunto livelli prossimi al 7 per cento, con il conseguente innalzamento del costo complessivo di rifinanziamento del debito pubblico. Il differenziale di rendimento rispetto al Bund tedesco (il cosiddetto spread) è passato in pochi mesi da valori inferiori ai 200 punti base a valori superiori ai 500 punti base spingendo molti investitori verso i titoli tedeschi considerati più sicuri. Le conseguenze della  crisi si sono riverberate rapidamente anche nell’ambito delle  concessioni di credito bancario a famiglie e imprese. I forti segnali di irrigidimento nella concessione del credito per le Banche hanno comportato   un vero e proprio rifiuto di accordare nuovi finanziamenti  oppure  di proporli a tassi di interesse talmente onerosi da indurre i potenziali richiedenti  a rifiutare l’offerta di credito.

Questo ha portato  al collasso le imprese più esposte che non sono più state capaci di ripagare i debiti finanziari già contratti. Nell’arco temporale dal 2009 al 2017 sono fallite oltre 110.000 imprese con un picco nel 2014 di 15.336 fallimenti,  la tendenza è in miglioramento anche se gli 11.939 fallimenti del 2017 sono comunque un numero elevatissimo. Uno studio dell’OCRI (osservatorio crisi risanamento imprese -Univ Bergamo ) del 2016,  ha analizzato un campione significativamente rappresentativo di fallimenti del Tribunale di Milano ed ha rilevato che il passivo fallimentare di queste procedure ammontava complessivamente a  € 25 miliardi c.a. mentre il passivo complessivo dei Concordati Preventivi 2013/2014, sempre di competenza del Tribunale di Milano,  ammontava  a € 4,3 miliardi c.a.

Se si moltiplicano questi dati per 10/12 volte si ottiene con buona approssimazione il risultato nazionale delle passività fallimentari che, stante l’arco di tempo intercorso,  è certamente peggiorato.

La composizione per l’anno 2015 delle passività  analizzate era  così  suddivisa :

38% -Erario
3%   -Dipendenti
27% -Banche
17% -Fornitori
1%   -Professionisti
0.7%-Soci
10% -Altri

Come si può facilmente rilevare dall’elenco, le Banche sono risultate,  per peso,  il secondo creditore delle imprese.

Stante la situazione di crisi finanziaria ed economica comune a molte Nazioni,  l’Unione Europea,  è intervenuta in questi anni emanando  due importanti provvedimenti :

  • Il Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20/05/2015, relativo alle procedure di insolvenza.
  • La raccomandazione 2014/135/UE della Commissione, del 12/03/2014, su un nuovo approccio al fallimento delle imprese ed all’insolvenza,

Lo scorso anno, a recepimento delle citate disposizioni europee in materia nonché dei principi della model law elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite, è entrata in vigore con un’approvazione a larga maggioranza (172 voti favorevoli e 34 contrari) la Legge n.ro 115/17 di delega al Governo per l’emanazione entro 12 mesi dei decreti attuativi a riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

La norma in commento  si occupa in particolare di andare ad individuare la crisi nella sua fase di incubazione  prima che sfoci nell’insolvenza irreversibile e detta i principi per l’introduzione  nella sua fase attuativa di strumenti di accertamento e composizione assistita della crisi  di impresa attraverso i costituendi OCRI-Organismi di Composizione della Crisi di Impresa ubicati presso le Camere di Commercio.  L’elenco dei debitori/destinatari interessati è ampio e ricomprende“…ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività’ commerciale, agricola o artigianale fatta esclusione dei soli enti pubblici …. “.  Sono escluse inoltre le società  quotate in borsa o in altri mercati regolamentati. Considerando che le PMI compongono il 90-95% della realtà industriale italiana, si può dire che le disposizioni verranno applicate alla quasi totalità delle aziende.

I soggetti individuati che dovranno  far emergere lo stato di crisi sono strettamente legati  alla vita delle imprese, infatti, oltre all’imprenditore medesimo, sarà obbligo  di “creditori qualificati” come l’Agenzia delle Entrate, gli Agenti della Riscossione delle Imposte e gli Enti Previdenziali,  di segnalare all’imprenditore o agli organi di amministrazione e di controllo il perdurare di inadempimenti di importo rilevante affinché questi chiedano l’intervento dell’OCRI,  il tutto a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari.  Per quanto invece concerne gli organi di controllo, la tempestiva attivazione e la successiva segnalazione all’OCRI in caso di inerzia dell’organo amministrativo dell’impresa, potrà costituire  causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dallo stesso in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione.

L’imprenditore avrà un termine complessivo massimo di 6 mesi per pagare o per concludere le trattative tese a raggiungere una soluzione concordata della crisi con i creditori. Qualora la trattativa non dovesse andare  a buon fine o non ci fossero i presupposti per avviarla, la norma in menzione prevede espressamente l’obbligo in capo all’OCRI di accertare lo stato di insolvenza dell’azienda in crisi e di informare il Pubblico Ministero che valuterà i presupposti per procedere o meno all’istanza di fallimento.

I decreti delegati attualmente in fase di approvazione ( vedi Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenzaCommissione Rordorf) definiscono la rilevanza dei debiti verso l’Erario , gli Istituti di Previdenza e l’Agente della Riscossione  e gli indicatori che definiscono lo stato di crisi “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore e rilevabili attraverso appositi indici, con particolare riguardo alla sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi ed alle prospettive di continuità aziendale, nonché l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti”.

In pratica in modo più o meno marcato queste caratteristiche riguardano un elevatissimo numero di imprese che ad oggi sopravvivono al di fuori dalle aule dei Tribunali ma che, se dovessero passare integralmente i principi dettati dalla riforma in parola, potrebbero generare un’esplosione di nuovi fallimenti o meglio.. di nuove “Liquidazioni giudiziali” termine che sostituirà l’attuale ” Fallimento”.

Il cenno fin qui fatto alla normativa fallimentare in fase di riforma, sta ad esplicitare come le Procedure Concorsuali in senso lato, a breve potrebbero esercitare  una forza attrattiva senza precedenti per quelle imprese più o meno zoppicanti.

Si aggiunga che le imprese sono sempre meno patrimonializzate  e più vulnerabili,  di conseguenza gli interventi risanatori o liquidatori  per avere successo devono essere estremamente tempestivi e realizzati da professionisti altamente qualificati e specializzati in materia.

Questo sta a significare che anche per le Banche la valorizzazione e la gestione dei crediti UTP, merita un’attenzione particolare e un approccio  specialistico anche in materia concorsuale sia per la valorizzazione dei portafogli che per la gestione dei rapporti con gli Organi delle Procedure Concorsuali.

Secondo quanto si respira nel mercato dei crediti deteriorati, dopo gli anni delle tradizionali “sofferenze”  che le banche hanno ceduto   per centinaia di miliardi di euro, oggi  la morfologia dei crediti oggetto di future cessioni è quella degli UTP per  i quali gli operatori prevedono  una grossa ondata  di vendite sul mercato.

A mio parere  il rischio di chi acquista questa tipologia di crediti a corrispettivi in %, diverse da quelle a cui sono scambiati gli NPL, pur chirografari o con garanzie reali (ipoteche volontarie) non ancora consolidate, è quello di sovrastimarli rispetto al rischio latente di vederne crollare dopo poco tempo  il valore a causa della falcidie concorsuale applicata in caso di accesso volontario o coattivo alle procedure concorsuali.

Vi sono poi altri  elementi, che qui vengono solo accennati ma che meriterebbero un approfondimento specifico,  di ulteriore rischio da illeciti di natura civile e penale che potrebbero coinvolgere il cedente o il cessionario  del credito in caso di fallimento dell’impresa debitrice.

La bancarotta preferenziale quale reato fallimentare ex art. 216 comma 3 LF nel caso che l’impresa in crisi paghi la Banca o il cessionario e non gli altri creditori creando così una riduzione del patrimonio ripartibile e una violazione della par condicio creditorum.

La contestazione di concessione abusiva del credito nel caso in cui la Banca erogante abbia continuato a finanziare l’impresa nonostante versasse già in uno stato di instabile e precaria situazione economica e/o finanziaria. In particolare, in relazione all’attività di concessione del credito, il principio di buona fede impone alla Banca o altro Intermediario finanziario di svolgere un’attività che non leda la posizione contrattuale del cliente ritardandone il dissesto e aggravandone la posizione debitoria a danno dei terzi quali le imprese concorrenti o i creditori del cliente che potrebbero essere indotti a continuare a concedere credito sul presupposto di una apparente solvibilità che di fatto non esiste. In assenza di una regolamentazione normativa specifica,  il nesso di causalità dell’azione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale per concessione abusiva del credito trova fondamento nel principio del c.d. neminem laedere;  per i motivi di cui sopra, la peculiarità dell’iniziativa processuale si ritiene che debba appartenere al Curatore fallimentare  o suo equipollente in altra procedura liquidatoria, non essendo ipotizzabile tale responsabilità a danno a di un’ impresa  che non sia in stato di insolvenza.