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Crolla l’illusione del bitcoin

Ma che succede alla più antica, longeva nonché conosciuta delle criptovalute? Nato nel 2009, vissuto in sordina per quasi otto anni, impennatosi spaventosamente a partire dalla primavera dello scorso anno, oggi il bitcoin ha intrapreso una discesa che l’ha riportato sui livelli dell’agosto 2017, prima cioè del picco record del dicembre 2017, quando sfiorò i ventimila dollari.

Ieri il suo valore è sceso sotto i quattromila dollari: una perdita del 74% che ha tutte le caratteristiche del deflagrare di una bolla speculativa. Un crollo, quello della moneta virtuale creata da un anonimo hacker che si cela sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, che ha coinvolto anche l’intero mercato delle criptovalute, passato dagli 800 miliardi di gennaio ai 130 di oggi. Secondo Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, tale deprezzamento sarebbe una conseguenza diretta della perdita di interesse di molti speculatori, che hanno abbandonato la criptovaluta in seguito al calo dei volumi di scambio. Una specie di circolo vizioso: «Il che — spiega — è la reazione alla febbre scatenatasi un anno e mezzo fa, fomentata da grandi annunci internazionali».

L’impressione, insomma, è che l’alta volatilità del bitcoin — che fra i 50 milioni di detentori ha sicuramente colpito anche qualche investitore privato inconsapevole dell’alto livello di rischio del trading — sia l’effetto del fatto che le compravendite non rispondano a logiche finanziarie strutturate. «Il problema di fondo — ragiona Emilio Barucci, docente di Finanza matematica al Politecnico di Milano — è che è difficile determinare il suo valore nominale, un valore che in gran parte è fatto dalla componente fisica del processo di remunerazione, il cosiddetto mining che sta alla base della produzione stessa della valuta, sul quale si è innestato un atteggiamento del mercato molto, forse troppo fiducioso».

Le ragioni

Per gli esperti il calo sarebbe dovuto alla perdita d’interesse degli speculatori

Tema non banale. Pur essendo virtuale, la criptovaluta ha un costo. Che si misura in energia (tanta, quella impiegata dai server per scavare i blocchi da cui si ricavano i bitcoin) e in tempo (regolato, dato che a oggi vengono estratti 12,5 bitcoin ogni dieci minuti). Tuttavia l’hash rate — cioè l’unità di misura della potenza di elaborazione della rete bitcoin — è in declino da metà ottobre: un esodo di minatori che secondo il docente di Finanza dell’Università di Santa Clara in California Atulya Sarin «potrebbe portare ad un punto di non ritorno, entrando in una vera e propria spirale della morte».

La fine del bitcoin? Meno negativo Ferdinando Ametrano, direttore del Digital Gold Institute e docente di Bitcoin and Blockchain Technologies alla Bicocca di Milano: «La volatilità non è un fenomeno patologico: domanda e offerta si incontrano sul mercato e tentano di mettere a fuoco il valore di un bene. Bitcoin è un bene controverso, come lo è stato vent’anni fa l’e-commerce: ricordiamo quanto perse Amazon prima di diventare ciò che è adesso. È un bene controverso perché si candida a diventare l’equivalente digitale dell’oro: qualcosa trasferibile ma non duplicabile». Insomma, il più grande esperimento di scarsità digitale che, dovesse andare in porto (finora sono stati estratti 17 milioni di bitcoin su un totale di 21) potrebbe portare il valore nominale della criptovaluta alle stelle: «I patrimoni gestiti — conclude Ametrano — ammontano a 100 trilioni di dollari: se solo il 2% diversificasse in bitcoin quest’ultimo arriverebbe a 100 mila dollari».

Le difficoltà

Data la sua natura è ancora molto difficile indicare un valore medio della valuta

Certo, un discorso che difficilmente può valere per un piccolo risparmiatore che è rimasto bruciato.


Autore: Massimiliano Del Barba
Fonte:

Il Corriere della Sera

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