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La svolta alza i prezzi dei crediti deteriorati e rafforza il sistema

La doppia operazione sui crediti in sofferenza varata ieri da Intesa Sanpaolo (cessione di 10,8 miliardi di Npl e joint venture con la svedese Intrum nel servicing) rappresenta un salto in avanti per la strategia della banca, ma è anche una mossa destinata ad avere conseguenze sull’intero sistema.
Partendo da Intesa, la cessione di Npl non prevista dal piano d’impresa è una risposta anticipata alle richieste del regolatore europeo, che porterà la prima banca italiana ad avere già entro fine anno un Npl ratio inferiore al 10% – destinato a scendere ulteriormente se il workout interno sarà efficace – e posizionando la banca guidata dal ceo Carlo Messina tra i leader in Europa alla pari con Bnp Paribas e Santander. Senza peraltro avere in portafoglio, alla vigilia degli stress test di fine anno, i rischi finanziari di tipo level 2 e level 3 delle maggiori banche tedesche e francesi.
Se il derisking anticipato è la maggiore novità contenuta nell’annuncio di ieri sugli Npl, gli investitori stanno facendo i conti anche sugli impatti positivi sul conto economico che Intesa avrà nel 2018 e che non erano previsti nel piano triennale annunciato a inizio febbraio.
Dalla cessione del 51% della piattaforma di servicing sui crediti a Intrum arriverà una plusvalenza di 400 milioni. Che andrà ad aggiungersi ai circa 200 milioni di guadagno realizzato con la vendita della quota di Ntv-Italo.
Un “tesoretto” inatteso di circa 600 milioni, che andrà a conto economico nel 2018. A cui si aggiungerà, come è probabile data l’accelerazione nelle trattative che risulta da fonti finanziarie, l’ulteriore capital gain sulla cessione di una quota di minoranza di Eurizon (che migliorerà i ratios patrimoniali ma senza impattare sul conto economico trattandosi di una minority).
Un triplo utile extra-piano che andrà ad aggiungersi al recente accordo strategico a sorpresa siglato con Poste Italiane per la distribuzione di prodotti di credito e del wealth management che, a quanto trapela, potrebbe essere solo il primo segnale di una più fitta collaborazione tra Intesa e il gruppo guidato da Matteo Del Fante.
A completare le novità della giornata in casa Intesa, l’esibito clima di ritrovata collaborazione con Mediobanca (si veda l’articolo a fianco). Ancor più significativo nel vuoto di potere politico e nel pieno di un ampio contenzioso – esplicito e sotto traccia – su varie partite finanziarie in corso tra Italia e Francia.
Limitando l’osservazione al tema Npl, il doppio deal tra Intesa e Intrum ha anche tre significative conseguenze per l’intero sistema bancario italiano. La prima riguarda il prezzo di cessione degli Npl avvenuto a poco meno del 29% del valore nominale. Un benchmark di riferimento per le future transazioni di altre banche che, qualora decidessero di vendere, si posizioneranno magari più vicino al 25% ma non più al 15-20% delle transazioni avvenute lo scorso anno. Con evidenti benefici sui conti, come dimostra il rally immediato in Borsa dei titoli del settore.
La seconda conseguenza riguarda la pressione che Bce e investitori accentueranno sulle banche medie per raggiungere in tempi rapidi il livello del 10% di Npl ratio che ormai sta diventando il nuovo scalino da raggiungere entro il 2018. La terza conseguenza riguarda le piattaforme di servicing interno per la gestione dei crediti a rischio. Dopo le cessioni di UniCredit (a Fortress) e Mps (a Cerved), Intesa ha ceduto il 51% a Intrum pur mantenendo il 49%. Difficile pensare che il nuovo quadro competitivo non abbia conseguenze per le banche medie.


Autore: Alessandro Graziani
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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