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Il piano di Bruxelles per la zavorra dei crediti: sì alle bad bank nazionali

Quel testo può segnare un cambio di stagione sul problema ormai cronico dei 1.200 miliardi di euro di crediti deteriorati nel sistema, dei quali 350 in Italia. Al cuore dell’iniziativa c’è un approccio meno dogmatico di prima all’intervento pubblico per ripulire i bilanci delle banche. Per loro non sarà comunque a disposizione alcun regalo dei governi con il denaro dei contribuenti, ma certe rigidità degli anni scorsi nell’Ecofin e nella Commissione Ue stanno venendo meno.

Quattro persone con una conoscenza diretta della questione, in varie capitali, prevedono una svolta oggi e nuovi passi all’inizio dell’autunno. Soprattutto su un punto: le linee-guida sulle quali i Paesi più colpiti dal problema, Italia in testa, potranno creare «società di gestione degli attivi». In altri termini potrebbero nascere «bad bank» nazionali che comprino i crediti deteriorati dagli istituti (anche) con un ruolo dello Stato.

Che un primo accordo all’Ecofin emerga ora — non nel 2013, quando l’Italia iniziò a parlare di una «bad bank» — non appare un caso. I ministri e la Commissione Ue ci lavoravano da mesi, ma di recente è maturata una condizione specifica: il governo italiano ha affrontato i problemi di Monte dei Paschi, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, mentre Carige sta rafforzando il proprio capitale sul mercato. Queste quattro aziende sono le stesse su cui aveva espresso riserve la Banca centrale europea nell’autunno 2014, quando pubblicò la sua «revisione della qualità degli attivi» delle banche europee, prima di assumerne la vigilanza. Per quelle quattro banche l’Italia, assieme alla Grecia, era uscita con i risultati peggiori. Adesso quelle ferite sono cauterizzate, per Carige potrebbero esserlo se tutto andrà per il meglio. La via è più sgombra. L’Ecofin dovrebbe dunque varare oggi stesso un «piano d’azione» per lo smaltimento dei crediti deteriorati e chiedere per i prossimi mesi un progetto su come regolare una «bad bank» alla Commissione Ue. Quest’ultima sarà determinante, perché al suo interno opera la direzione generale Concorrenza che regola gli aiuti di Stato.

Proprio la Commissione Ue sul tema di una «bad bank» sta offrendo aperture all’Italia che sembravano inconcepibili un anno e mezzo fa. A Bruxelles oggi si accetta che una «bad bank» finanziata con intervento del governo compri crediti deteriorati al loro «valore economico reale» e non al «prezzo di mercato». La distinzione è determinante: il prezzo di mercato di un portafoglio di crediti in default è in media di circa 20 centesimi per ogni euro di prestiti, quello al quale oggi comprano i pochi fondi specializzati che operano; invece il «valore economico reale» è quanto si stima possibile recuperare nel tempo da un credito in default prendendo possesso dei beni posti in garanzia, e questa cifra fluttua in media attorno agli 35 cent o poco sopra. Se la «bad bank» compra al «valore reale», la perdita risulta molto minore per l’istituto che così ripulisce il proprio bilancio. La differenza su 77 miliardi di esposizioni nette, come accade in Italia, può essere grande.

In realtà all’interno della Commissione Ue non tutti sono sulle stesse posizioni. C’è chi è disposto ad aperture maggiori. Fra i protagonisti di questa trattativa, c’è chi pensa che un intervento della «bad bank» al «valore economico reale» non richieda alcun sacrificio per i detentori di obbligazioni subordinate, le più a rischio. Secondo queste persone, il mercato dei crediti deteriorati è infatti oggi così oligopolistico che giustificherebbe un approccio più elastico a Bruxelles.

Il tutto appare una trattativa sulle banche, ma è in gran parte un negoziato sul ruolo futuro dell’Italia nell’euro. Il governo di Roma ha dunque un modo per favorire una soluzione ancora più praticabile: fare la propria parte. In particolare si chiede al governo di intervenire sulle procedure giudiziarie e il diritto fallimentare, perché i creditori possano entrare in possesso dei beni presentati in garanzia dai debitori insolventi in tempi rapidi e certi. Su questo punto non mancano resistenze nel sistema giudiziario italiano. Anche la Commissione Ue lo ha capito e prepara un nuovo strumento di pressione: pubblicherà a scadenze regolari una classifica europea sull’efficienza dei sistemi di diritto civile di tutti i Paesi dell’Unione. E l’Italia, in coda alla graduatoria, sarà costretta a darsi da fare.


Fonte:

Il Corriere della Sera

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