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Banche, piano italiano per cambiare il «bail in»

La facoltà di conteggiare le emissioni obbligazionarie bancarie senior, emesse almeno fino al 2016, nel computo delle passività che possono essere coinvolte in una eventuale procedura di risoluzione. E la possibilità di rivedere i criteri di contribuzione dei fondi interbancari di garanzia dei depositanti al finanziamento delle procedure di risoluzione per aumentare la protezione sui depositi oltre i 100 mila euro. Sono alcuni dei correttivi che l’industria bancaria italiana, l’Abi e l’associazione delle Bcc, Federcasse, sta cercando di portare in sede comunitaria (una serie di emendamenti sono già stati presentati) alla direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive), che ha introdotto il principio del bail in.

Allo stato attuale delle proposte della Commissione europea non viene considerata l’ipotesi di riammettere l’utilizzo dei fondi interbancari nella prevenzione delle crisi. «La possibilità di utilizzare i sistemi di garanzia dei depositanti costituiti per legge per interventi diversi dal rimborso dei depositanti è stata drasticamente limitata da un’interpretazione della Dg Competition – spiega Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse-. La direzione ritiene che gli interventi diversi dal rimborso dei depositanti siano assoggettabili alla disciplina degli aiuti di Stato e dunque necessitino di un vaglio diretto per stabilirne la legittimità».

La Commissione europea ha proposto già dal novembre scorso, dopo una lunga consultazione, un pacchetto di modifiche alla direttiva. Negli ultimi mesi una nuova proposta è stata formulata, allo scopo di rendere più armonica l’adozione dei requisiti Mrel (previsto dalle norme Ue) e Tlac (discende dalla regolamentazione internazionale e interessa le maggiori banche sistemiche). Questi indicatori stabiliscono i requisiti minimi di fondi propri e di passività che vanno in risoluzione e, dunque, quali strumenti devono costituire la quota del passivo delle banche che può essere convertita in attivo patrimoniale nel caso di bail in. In testa alla classifica c’è ovviamente il capitale, seguono le obbligazioni subordinate e, sinora almeno per l’Italia, a pari merito obbligazioni senior e depositi corporate comunque sopra i 100 mila euro. Ma non tutti i paesi dell’Unione hanno graduatorie simili sui titoli da assoggettare al bail in e per banche con presenze in vari stati sarebbe alquanto complesso conciliare i diversi trattamenti.

È anche per questo motivo che la Commissione vorrebbe accelerare la modifica della Brrd ed arrivare quantomeno a testi condivisi (dal Consiglio e dal Parlamento) sui quali avviare l’iter approvativo già nel mese di giugno. In questo contesto potrebbe fare da apripista la recente proposta della Commissione che mira a introdurre una nuova categoria di obbligazioni non preferred. L’obiettivo è evitare possibili contestazioni nella priorità di coinvolgimento in una risoluzione tra bond senior e depositi corporate (che discenderebbe dall’applicazione del requisito Tlac). Una nuova categoria di titoli posta sopra i senior taglierebbe la testa al toro; tutto ciò che è sotto non entrerebbe più nel requisito Mrel – che entrerà in vigore dal primo gennaio 2019 – e avrebbe meno rischio di coinvolgimento nel bail in. La classifica delle passività assoggettabili al Mrel sarebbe a quel punto omogenea in tutti i paesi Ue. Su questa proposta e sulla prospettiva di una sua accelerazione, ben vista anche dalla Banca d’Italia, non c’è ancora consenso diffuso a livello comunitario.

«Il problema legato alla proposta – spiega Giovanni Sabatini, direttore generale Abi e presidente del comitato esecutivo della Federazione bancaria europea – è la necessità per le banche di dover emettere nuovi titoli (i non preferred, ndr) , più rischiosi e quindi più costosi, e farlo in tempi dettati dalle nuove regole e quindi tutte assieme. Si pone, al contempo, la questione di quali strumenti le banche devono emettere nella fase transitoria, da qui al 2019. Per questo motivo abbiamo proposto un grandfathering, una esenzione temporanea che consenta alle banche italiane di conteggiare ai fini Mrel le obbligazioni già emesse».

L’apertura a livello comunitario su questo punto ci sarebbe, almeno per le emissioni senior emesse fino al 2016. Bisogna capire se si può ottenere di più. Buona parte dei bond bancari in circolazione ha durata in 5 anni e molti scadono tra il 2019 e il 2020, per cui la loro permanenza in vita ai fini del Mrel sarebbe limitata.

Di pari passo all’incertezza su quali strumenti emettere, per le banche italiane si apre il problema di come gestire la raccolta a medio e lungo termine e soprattutto a quali acquirenti rivolgersi, investitori specializzati o risparmiatori.

«È ormai evidente che tutte le obbligazioni bancarie senior sono in qualche modo esposte al rischio di bail in – continua Sabatini – per cui si possono collocare presso investitori istituzionali o al massimo al retail con elevata propensione al rischio. Ma la platea, anche per gli strumenti che verranno emessi ai fini Mrel, non è ampia e comunque comporterà rendimenti più elevati. Per la raccolta presso il retail gli strumenti da utilizzare, invece, possono essere i covered bond, garantiti ed esclusi per definizione dal bail in. Anche in questo caso, però, c’è un limite. La normativa nazionale ne vieta l’utilizzo agli istituti con un capitale inferiore a 250 milioni e questo taglia fuori molte banche medio-piccole. È in corso da tempo un confronto con Banca d’Italia sulla possibilità di rivedere quel vincolo».

Sullo sfondo resta comunque il ruolo del Srb (Single resolution board) che entro fine 2017 dovrà fissare il livello di Mrel, stabilendo poi banca per banca le singole soglie. «Anche qui il percorso è lungo – chiosa Sabatini – Si intravede la possibilità che siano indicate soglie elevate. Ritengo che sia necessario fare adeguate valutazioni di impatto rispetto alla calibrazione di questo requisito».

La revisione della direttiva Brrd potrebbe essere l’occasione per sgombrare il campo dalle interpretazioni, come quella della Dg Competition, che dal 2015 hanno impedito l’uso dei fondi bancari di garanzia.

«Quell’interpretazione in senso restrittivo ha creato una contraddizione tra la direttiva Brrd e quella sui Dgs (i sistemi di garanzia dei depositi, ndr), che invece consente interventi preventivi da parte dei sistemi di garanzia dei depositi, anche se sono ammessi solo come opzione e comunque sono soggetti a forti vincoli- commenta Gatti -. Per questo è stata chiesta una modifica alla direttiva Brrd che apra all’utilizzo dei fondi di garanzia, lasciando così meno spazio alle interpretazioni. Se questo avvenisse, sarebbe un successo molto importante per il nostro paese. Non dovremo più assistere al trascinarsi delle crisi bancarie, ma si potrebbe provvedere tempestivamente con gli interventi preventivi finanziati dai fondi interbancari obbligatori come avveniva in passato». Il sistema del credito cooperativo punta, inoltre, a far valere il principio della proporzionalità delle norme in base alle dimensione e al modello di business delle banche e per questo chiede anche la calibrazione del requisito Mrel e degli obblighi informativi (che hanno comunque un costo) rispetto al micro mondo delle Bcc.


Autore: Laura Serafini
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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