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Ocse, meno sportelli in Italia e piano npl a tappe

Ci sono troppi sportelli e filiali di banche in Italia. I livelli di capitale degli istituti di credito sono adeguati, ma la redditività resta bassa. Ci sono troppi crediti deteriorati e bisogna pensare a un percorso a tappe, tarato banca per banca, per ridurli. E parallelamente anche le famiglie in Italia hanno troppi bond bancari nei loro patrimoni. Sono le principali criticità rilevate dall’Ocse nel suo rapporto annuale sulla Penisola, in cui inserisce un capitolo sul come “Rimettere in salute il settore bancario”.

L’Ocse dà atto al governo italiano di aver compiuto importanti passi in avanti sulla riorganizzazione del settore. “I coefficienti patrimoniali delle banche italiane superano gli standard regolamentari”, riconosce l’Organizzazione parigina, “ma sotto molti aspetti gli istituti restano più deboli di quelle di altre giurisdizioni. Hanno bassi livelli di redditività rispetto agli attivi, che comunque di recente sono migliorati, e ampi livelli di crediti deteriorati”.

In Italia, in particolare, il numero di addetti nelle banche per 1.000 abitanti è vicino alla media europea. Ma c’è il quarto livello più elevato di numero di sportelli per 1.000 abitanti, che è del 65% al di sopra della media europea. Inoltre, le filiali sono piccole, in media ci lavorano meno di 10 addetti, il 63% al di sotto della media europea. “Questo suggerisce che vi siano ampi margini per aumentare l’efficienza, riducendo il numero di sportelli”.

In quest’ottica, per l’Ocse il consolidamento del settore bancario e i miglioramenti della governance aumenterebbero l’efficienza e getterebbero le basi per una redditività più alta. Il governo, ha ammesso ancora l’Ocse, ha compiuto passi importanti in tal senso, promuovendo un nuovo codice volontario di condotta per le fondazioni bancarie e spronando le casse mutuali di risparmio a consolidarsi o a trasformarsi in società quotate e le grandi banche del credito cooperativo a diventare società quotate.

Ma c’è ancora tanta strada da fare anche perché in Italia i crediti deteriorati netti si attestano all’incirca al 90% del capitale che risultava a fine 2015, “il livello più grave nei Paesi europei”. Per accelerare la loro riduzione e promuovere lo sviluppo di un mercato liquido e profondo, “le autorità di vigilanza potrebbero prevedere un percorso a tappe graduale, credibile, vincolante e tarato sui singoli istituti”.

Specialmente le banche con ampie esposizioni in crediti deteriorati dovrebbero sviluppare delle strategie di riduzione, con obiettivi quantitativi sia per il breve termine, 1 anno, sia per il medio termine, 3 anni, raccomanda l’Ocse, citando l’esempio dell’Irlanda e, prima ancora, del Giappone che hanno dato risultati positivi. Ma c’è anche un accenno a un problema opposto, quello dell’eccessiva esposizione dei risparmiatori verso il comparto bancario: “in Italia le famiglie detengono circa il 20% di bond bancari, ben oltre i livelli di altri Paesi europei”.

Ocse meno pessimista dell’Ue sui conti pubblici dell’Italia

Il deficit di bilancio dell’Italia continuerà a calare, secondo l’Ocse, e anche il rapporto debito-pil da quest’anno inizierà una discesa, seppur lieve, dopo il picco raggiunto nel 2016. Nel suo rapporto l’ente parigino stima che, dopo il 2,4% del pil nel 2016, quest’anno il disavanzo di bilancio si ridurrà al 2,3% e nel 2018 al 2,2% del pil. Quanto al debito, dopo il 132,8% indicato sul 2016, l’Ocse pronostica una limatura al 132,7% nel 2017 e al 132,1% nel 2018. Valori migliori di quelli indicati dalla Commissione europea che lunedì scorso nelle sue previsioni invernali ha stimato il deficit-pil italiano al 2,3% nel 2016, al 2,4% nel 2017 e al 2,6% nel 2018. Inoltre, secondo l’Ue il debito sarà pari al 132,8% nel 2016, al 133,3% quest’anno per poi limarsi al 133,2% nel 2018.

Per l’Ocse l’economia italiana “è in via di ripresa dopo una lunga e profonda recessione”, ma la ripresa “è debole e la produttività continua a diminuire”. Comunque l’ente parigino rivede leggermente al rialzo la stima di crescita del pil italiano allo 0,9% nel 2016 e all’1% nel 2017 rispetto alle previsioni contenute nel Global economic outlook di novembre che stimava una crescita dello 0,8% per lo scorso anno e dello 0,9% per quello in corso. Confermato per il 2018 un aumento del pil dell’1%. Il governo nel Documento programmatico di bilancio 2017 stima una crescita dell’1% nel 2017 e dell’1,2% nel 2018.

Nel frattempo proseguirà, ma rallentando il ritmo, la ripresa dell’occupazione, dopo un +1,3% nel 2016 l’ente parigino stima un +0,9% nel 2017 e un +0,6% nel 2018. Il tasso di disoccupazione passerà, quindi, dall’11,5% del 2016 all’11,1% quest’anno e al 10,7% nel 2018. A sostenere il recupero hanno contribuito le politiche macroeconomiche del governo, una politica monetaria accomodante, i prezzi contenuti delle materie prime e le riforme messe in campo, come il Jobs Act, che hanno iniziato a dare i loro benefici.

Ma non mancano i problemi. Dall’inizio della crisi il pil reale procapite è calato di circa il 10% e oggi, rileva l’Ocse, è allo stesso livello del 1997. La povertà assoluta è quasi raddoppiata rispetto ai livelli registrati prima della crisi e ha colpito in maniera particolare giovani e bambini. In effetti, il tasso di povertà assoluta tra le famiglie con 1 e 2 bambini è salito rispettivamente dall’1,1% e dal 2,3% del 2006 al 4,9% e all’8,6% nel 2015. Nello stesso periodo il tasso di povertà assoluta tra le persone più anziane è rimasto sostanzialmente stabile.

Al contempo, dal 2007 al 2013 il tasso di povertà assoluta sugli under 25 è aumentato di oltre 3 punti percentuali, mentre è diminuito per gli over 65. Questo divario va imputato alla frammentazione, all’inefficienza dei programmi contro la povertà e al ruolo eccessivo delle pensioni nella rete di protezione sociale, secondo l’Organizzazione parigina.

Come se non bastasse l’Italia è al top tra i Paesi Ocse e del G20 per imposte arretrate. Nel settembre 2015 il valore totale superava oltre 750 miliardi di euro, “una somma quasi equivalente al gettito fiscale annuo delle amministrazioni pubbliche”. Per l’Organizzazione di Parigi, “procedure inefficaci per la riscossione degli arretrati d’imposta aggravano il problema dello scarso rispetto degli obblighi fiscali”. Il gettito Iva, segnala l’Ocse, “è inferiore a quanto dovrebbe essere”. Per garantire il rispetto degli obblighi fiscali in Italia si è sempre fatto ricorso a revisioni contabili e verifiche fiscali ma gli accertamenti d’imposta che ne derivano sono spesso inesigibili. La riscossione degli arretrati d’imposta è inoltre ostacolata dalla mancanza di una procedura sistematica per la cancellazione degli arretrati d’imposta non più esigibili, il cui ammontare stimato è pari a circa il 20% del totale degli
arretrati d’imposta.

Che dire poi del fatto che fare impresa in Italia resta complicato a tutto svantaggio della produttività. I poteri pubblici hanno compiuto notevoli progressi nel rimuovere gli ostacoli strutturali in materia di crescita e produttività, ma vi sono “ancora questioni irrisolte che ostacolano il fare impresa in Italia, come l’inefficienza della pubblica amministrazione, la lentezza dei procedimenti giudiziari, una regolamentazione mal concepita e uno scarso livello di concorrenza”. Secondo l’Ocse, molte risorse di capitale e manodopera sono monopolizzate da imprese con scarsa produttività e ciò mantiene i salari bassi e impedisce una crescita del benessere. Le start-up innovative e le pmi continuano a essere svantaggiate poiché hanno difficilmente accesso a finanziamenti bancari e a emissioni azionarie. Tale stato di cose porta a limitare i redditi di molti occupati.

Non si può ignorare nemmeno l’esito negativo del referendum sulle riforme costituzionali del dicembre scorso. “La bocciatura ha aumentato il clima di incertezza politica”, osserva l’Ocse, “ma il processo di riforme deve essere portato avanti se l’Italia vuole costruire una società più inclusiva e migliorare le prospettive di crescita. Il no rischia di rallentare il processo di riforme, facendo diminuire le prospettive di crescita e rendendo più difficile il risanamento dei conti”.

Senza contare, avverte, che nuove turbolenze sui mercati finanziari nell’area euro e le criticità del sistema bancario potrebbero innalzare lo spread sui titoli pubblici, aumentando il costo di finanziamento del debito e rendere necessario un irrigidimento di bilancio in Italia. Allo stesso modo un calo della crescita del commercio internazionale frenerebbe le esportazioni e la crisi dei migranti potrebbe nuovamente inasprirsi pesando sulle finanze pubbliche e aggravando le difficoltà di gestione di un maggior afflusso di migranti. Anche l’aumento dei prezzi del petrolio e dell’energia potrebbe far calare il potere d’acquisto delle famiglie e di conseguenza i consumi privati.


Autore: Francesca Gerosa
Fonte:

Milano Finanza

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