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Mps riapre la conversione dei bond al retail per due miliardi

Un ultimo difficile tentativo per evitare la nazionalizzazione dell’istituto senese e il sacrificio degli obbligazionisti. La strada della conversione dei bond in mano al retail è stata scelta dal cda di Mps per tentare, in extremis, l’operazione di salvataggio da 5 miliardi di euro che, dopo il no alla proroga da parte della Bce (che deve ancora formalmente arrivare sul tavolo del board), deve chiudersi necessariamente entro il prossimo 31 dicembre.

Si va dunque avanti. L’operazione di mercato resta ancora in piedi anche se fra tante incognite: prima fra tutte, come notizia dell’ultima ora, il ritiro dell’appoggio del consorzio di garanzia bancario. Ma c’è anche qualche barlume di fiducia. Il fatto che in queste ultime ore sia stato conferito l’incarico al ministro Paolo Gentiloni per formare il nuovo esecutivo viene visto come un segnale positivo.

Così sul tavolo dell’Ad Marco Morelli, dopo la riunione fiume di ieri, c’è l’ipotesi di aprire la conversione volontaria per i bond subordinati retail, se venissero rimossi i paletti posti recentemente dalla Consob che hanno bloccato le adesioni. Nella prima finestra di conversione questi erano infatti stati esclusi per motivi di adeguatezza dei profili Mifid.

I 40mila risparmiatori, secondo le stime, potrebbero contribuire con 2,16 miliardi di euro, che si sommerebbero al miliardo raccolto dagli istituzionali. Questi capitali si dovrebbero sommare a un altro miliardo che, secondo le speranze dei manager di Mps e dei loro advisor, dovrebbe iniettare il Qatar come anchor investor. Poi ci sarebbe per la parte residuale un collocamento sul mercato.

Tuttavia le percentuali di rischio dell’operazione di mercato restano altissime, soprattutto ora che sembra essersi volatilizzato l’appoggio del consorzio di garanzia bancario. Poi saranno necessari i via libera delle differenti authority: non solo la Bce ma anche la Consob.

Il presupposto dell’operazione di mercato è infatti che l’autorità di vigilanza autorizzi la conversione volontaria delle obbligazioni retail vendute nel 2008, eliminando quegli iniziali paletti messi a tutela dei risparmiatori. La tesi di chi spinge per questa soluzione è che se ci fosse un intervento dello Stato, i bond subordinati verrebbero comunque convertiti in azioni, ma in perdita e non a un prezzo “vantaggioso” come quello offerto. Un tema centrale su cui proseguono da venerdì scorso i contatti informali tra la banca e la Consob, che tuttavia per muoversi sta aspettando l’ufficializzazione del diniego formale della Bce alla proroga chiesta da Mps.

Altro tema delicato resta quello degli investitori, su cui continueranno a lavorare le banche malgrado sia stata tolta la garanzia sull’inoptato. La strada che porta al Qatar come anchor investor sembra in salita: il fondo di Doha non avrebbe ancora ritirato ufficialmente la sua candidatura a impegnarsi con un miliardo di euro, ma sembra difficile che il comitato d’investimenti della Qatar Investment Authority possa accettare di dare il via libera a un’operazione con così tante incognite. Interlocutore del Qatar, prima del referendum, era stato il governo dimissionario, che aveva aperto a possibili relazioni più ampie e non limitate al caso Montepaschi. Ora il nuovo esecutivo, che in qualche modo con l’ex-ministro degli Esteri Gentiloni ha caratteristiche di continuità rispetto al precedente, dovrebbe cercare di convincere il Qatar: tuttavia, in una situazione di tale incertezza politica, resta comunque una strada fortemente in salita.

Se tutto ciò non si concretizzerà resta all’orizzonte la rete di sicurezza pubblica con le ipotesi di bail-in oppure di burden sharing: questa rete di salvataggio potrebbe dunque concretizzarsi con la garanzia del Tesoro per coprire ciò che il mercato non riuscirà a colmare. L’altra strada, più pesante, sarebbe l’intervento diretto del Tesoro per riportare il capitale di Mps ai livelli chiesti da Francoforte.


Autore: Carlo Festa
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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