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Bruxelles, tutti i no alla nostra bad bank

Il diavolo sta nei dettagli. Frase fatta ma esprime bene il nodo che l’Italia deve sciogliere per avere dalla Commissione europea il via libera alla creazione di una «bad bank» di sistema per i crediti deteriorati delle banche, cioè quelli che gli istituti non riescono a recuperare e che ammontano a circa 200 miliardi: la soluzione che Roma sta negoziando deve essere tale da non rappresentare un aiuto di Stato. E saranno i dettagli dell’operazione a fare la differenza. 
 
Raccomandazioni

Ma andiamo con ordine. Nelle raccomandazioni all’Italia della Commissione europea del 13 maggio scorso, Bruxelles sottolineava che «dalla fine del 2008 la quota di crediti deteriorati del settore bancario italiano è aumentata vertiginosamente, principalmente in relazione alle esposizioni delle banche verso le imprese» e veniva messo in luce il fatto che «il tasso di riassorbimento delle attività deteriorate è stato finora troppo basso e limitata ne resta la liquidazione, in parte a causa del sottosviluppo del mercato italiano dei crediti deteriorati». Partendo da questa considerazione la Commissione Ue raccomandava all’Italia di «adottare provvedimenti per accelerare la riduzione generalizzata dei crediti deteriorati».
Un invito in perfetta linea con le intenzioni del governo. Da tempo il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia stanno ragionando a questa soluzione. Il punto di partenza è che l’Italia non potrà lasciarsi alle spalle la crisi fino a quando non sarà risolto il problema dei crediti deteriorati accumulati dalle banche negli anni della recessione. E se i big come Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno già provveduto a farsi la loro «bad bank», il problema rimane per gli istituti più piccoli. Le sofferenze – come ha ricordato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco nelle Considerazioni finali – richiedono accantonamenti e dunque finiscono per immobilizzare buona parte dell’attivo delle banche e frenare l’erogazione del credito all’economia. C’è però un problema: in Italia non c’è mercato per i crediti deteriorati, servirebbe appunto una garanzia pubblica o un intervento dello Stato per far partire il meccanismo. Dunque soluzione trovata? Per niente. Perché qui il rischio è che la Ue intraveda aiuti di Stato. Quella stessa Commissione che ha riconosciuto la mancanza in Italia di un mercato dei crediti deteriorati.

Elementi condivisi

La posizione ufficiale è dialogante: «Siamo in stretto e costruttivo contatto con le autorità italiane», spiega Ricardo Cardoso, portavoce della commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, che ha in mano il dossier. «Abbiamo condiviso con le autorità italiane – prosegue – gli elementi tecnici che bisogna considerare quando si costruisce una bad bank in linea con le regole europee così come quelli per creare meccanismi a supporto di prestiti alle piccole e medie imprese». «Non abbiamo ricevuto la comunicazione formale – conclude –. La Commissione non ha fatto un esame formale della compatibilità con le regole Ue sugli aiuti di Stato». Finché non viene trovata la formula che ci permette di evitare di incorre nel veto dell’Europa, ovviamente l’Italia non procede all’ufficialità.
Quali sono gli elementi tecnici? Non esiste una formula standard perché una «bad bank» che presuppone l’intervento di uno Stato non venga sanzionata come aiuto di Stato. Però nella «Comunicazione della Commissione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario», che risale al 2009, sono elencate le «questioni» che gli Stati membri devono affrontare al momento di prendere di considerazione misure a sostegno delle attività deteriorate: salvaguardia della stabilità finanziaria; sostegno all’erogazione di prestiti bancari; considerazioni di lungo periodo sulla redditività del settore bancario e sulla sostenibilità di bilancio; necessità di un approccio comunitario comune e coordinato per garantire parità di condizioni. In generale, la Commissione definisce aiuti di Stato «le misure pubbliche di sostegno a fronte di attività deteriorate, in quanto esonerano la banca beneficiaria dalla necessità di registrare una perdita o una riserva per un’eventuale perdita sulle sue attività deteriorate e/o liberano capitale obbligatorio per altri usi».

I nodi

E questo si accentua qualora «le attività deteriorate venissero acquistate o assicurate a un valore superiore al prezzo di mercato o laddove il prezzo della garanzia non compensasse lo Stato per la sua possibile passività massima a titolo di garanzia».
Il prezzo è uno dei problemi attorno cui ruotano possibili obiezioni della Ue alla nostra «bad bank». Ma era stato proprio l’esecutivo europeo a riconoscere poche settimane fa che in Italia il mercato dei crediti deteriorati non è sufficiente. Come sarà possibile far spostare l’ago della bilancia europeo? Molto dipende da come sarà considerata la situazione di partenza dell’Italia e se ci viene riconosciuto il motivo macroeconomico: una «bad bank» per riattivare l’economia attraverso la ripresa del credito bancario, tenuto conto che nel nostro Paese le Pmi si finanziano quasi totalmente attraverso il sistema tradizionale degli istituti di credito.

Fonte:

Il Corriere della Sera

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