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Tra la Spagna e Mediobanca l’Italia cerca la sua terza via

I crediti deteriorati delle banche italiane superano 300 miliardi di euro; le sofferenze 170 miliardi e continuano ad aumentare; incidono sullo stato patrimoniale e sul conto economico; concorrono al credit crunch; ostacolano la necessaria ripresa del flusso di crediti. Ma l’enorme ammontare degli aggregati lordi deve essere interpretato con attenzione. I dati si ridimensionano tenendo conto delle coperture: le sofferenze nette a novembre 2013 sono pari a 76 miliardi. Nel confronto europeo le banche italiane sono caratterizzate da maggiori garanzie e hanno un rapporto inferiore fra credito erogato e garanzie.

 

In importanti Paesi europei, non in Italia, è consentito escludere dai non-performing loans le posizioni completamente garantite. Le banche italiane hanno collaterale e garanzie ampiamente superiori alle sofferenze nette. La riforma delle procedure concorsuali e degli accordi di ristrutturazione dei debiti ha avvicinato le norme alla best practice europea; ci sono segnali di riduzione della durata delle procedure. Le novità sul trattamento fiscale delle svalutazioni e perdite su crediti hanno parzialmente rimosso distorsioni che penalizzavano le banche italiane. La maggior trasparenza e uniformità nella definizione dei crediti deteriorati (NPL, non performing loans) nell’Eurozona, connessa alla cosiddetta Asset Quality Review della Banca Centrale Europea, non dovrebbe creare svantaggi per le banche italiane. Dobbiamo concludere che la questione dei crediti deteriorati è un falso problema? Certamente no, ma è necessario ridimensionare la portata dei rischi ed evitare di drammatizzarli.

Tuttavia (e non si tratta di un paradosso) è necessario oggi studiare soluzioni sistemiche. Ogni singola banca, nel tentativo di risolvere da sola i problemi, può innescare un rischio di loop negativo: minor credito, maggiori sofferenze, minore crescita, maggiori fabbisogni di capitale a costo sempre più elevato. I più stringenti vincoli di capitale e di liquidità per le banche non devono trasformarsi in ulteriori contrazioni degli impieghi. La natura del legame tra NPL e capacità di erogare credito è cambiata nel corso della crisi e rende il problema dello stock in essere particolarmente rilevante.

Nella prima fase della recessione, a frenare l’offerta di credito erano le risorse da destinare al provisioning del flusso di nuovi NPL. In questa fase, il freno proviene soprattutto dai crediti immobilizzati. Si possono esaminare due ipotesi di soluzione: il Fondo BadBank, sul modello spagnolo, ovvero la creazione di una famiglia di Fondi specializzati, con idonee forme di guida e sostegno pubblico. Il modello Bad-Bank italiana di sistema è stato proposto nel marzo scorso da Mediobanca Securities, attraverso la creazione di un fondo dotato di circa 20 miliardi, principalmente finanziato a livello europeo dall’ESM. La proposta non ha trovato riscontro né dalle banche, né dalle autorità monetarie, preoccupate dagli effetti immagine negativi che avrebbero accomunato le difficoltà delle banche italiane alla crisi di quelle spagnole. Il finanziamento ESM incontrerebbe enormi difficoltà: le remore della Commissione Europea sono discutibili, ma le autorità tedesche sono irremovibili sul fatto che l’Unione Bancaria non può essere la back door per la mutualizzazione dei debiti pubblici. Ben diverso è lo schema che prevede di attivare famiglie di fondi coordinati, ma anche specializzati, con il concorso in primo luogo delle banche e con il sostegno e la guida delle autorità monetarie.

Non si tratta di un’esperienza nuova: riprenderebbe il modello delle società consortili bancarie e l’esperienza della SGA (Banco Napoli). Lungo queste linee muove oggi Mediobanca. Le banche anche per il fenomeno del multiaffidamento hanno interessi potenzialmente confliggenti. La terzietà di una società consortile guidata e coordinata in modo professionale e indipendente favorirebbe la soluzione del problema. Le partite in sofferenza sarebbero cedute a società specializzate in cambio di quote di partecipazione e parzialmente di nuova cassa: hedge funds, private equity funds, real estate funds sarebbero gli interlocutori privilegiati. Questi intermediari metterebbero a disposizione anche equity che, in un’ottica di tre-cinque anni, potrebbe offrire ritorni significativi. Si attiverebbero investitori italiani e internazionali interessati all’asset class NPL, declinata per segmenti specializzati (immobiliare, infrastrutture, PMI), con l’obiettivo immediato di ridurre il price gap.

Gli strumenti favorirebbero la ripresa dell’economia, che a sua volta sosterrebbe il valore delle garanzie. L’ampia liquidità internazionale, collegata alle difficoltà dei Paesi emergenti, rappresenta un’opportunità da non disperdere. Sta alla BCE valutare con attenzione il trade-off micro e macroprudenziale in questa delicata fase di uscita dalla crisi del 2007-2013. Le misure, in Italia e in Europa, per attivare flussi di risparmio verso gli investimenti a lungo termine sono complementari (non sostitutive) alla ripresa del credito bancario. Chi scrive ha proposto al riguardo un duplice intervento in chiave europea: LTRO della BCE rivolto al finanziamento di piccole e medie imprese e creazione di un mercato securitizzato in Europa. In Italia, la gestione coordinata dei crediti deteriorati dovrebbe avvenire sotto la guida della Banca d’Italia e con il supporto del Governo (e della Cassa Depositi e Prestiti). Occorre creare una sinergia tra pubblico e privato con un’apposita «cabina di regia», in un disegno che ricomprenderebbe anche progetti autonomi delle grandi banche. Le guidelines non sono difficili da identificare. Lo sviluppo di un mercato dei NPL deve garantire trasparenza e coerenza del trasferimento dei rischi con le regole di vigilanza e assicurare la cancellazione dall’attivo delle partite cedute. Occorre peraltro chiarire le difficoltà applicative e meglio definire la regolamentazione delle operazioni di cartolarizzazione dei NPL.

 


Fonte:

Repubblica

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