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Il credito riparte quando c’è crescita

Il primo colpo di bazooka contro la crisi è andato a vuoto: l’asta Bce dei prestiti agevolati per riattivare l’erogazione del credito in Europa è andata ben al di sotto delle aspettative, creando così seri interrogativi sull’efficacia della manovra per favorire la ripresa manifatturiera e sulla necessità di interventi monetari più radicali.

Se le banche hanno chiesto infatti meno del previsto – 82,6 miliardi a fronte di aspettative per quasi 150 miliardi di euro – significa che le tensioni e le incertezze che si vedono ancora all’orizzonte, soprattutto sul fronte economico, rendono del tutto superflua un’ulteriore provvista di liquidità da riservare all’attività di lending per le piccole e medie imprese: senza la domanda, la maggiore offerta ha poco senso. L’asta Tltro ha messo a disposizione delle banche quasi 400 miliardi di qui al 2016, da rimborsare in quattro anni.
E l’ha agganciata a una condizione ben precisa: se la banca non utilizza il prestito per aumentare le erogazioni alle piccole e medie imprese non finanziarie, dovrà restituire l’intero ammontare entro due anni. Una condizione “tagliola”, questa, voluta espressamente dallo stesso Mario Draghi per scoraggiare il ricorso ai prestiti di Francoforte solo per poi acquistare titoli di Stato: «I prestiti – ha detto a chiare lettere Draghi – devono essere contratti solo per finanziare l’economia reale». Se l’intenzione e gli obiettivi dell’operazione erano (e sono) dunque buoni – in Inghilterra la ripresa del credito si deve proprio a una manovra analoga lanciata dalla Bank of England (loan for lending) – resta da capire perchè le banche dell’Eurozona non si siano presentate in massa allo sportello.

Anche se conclusioni più certe e definitive sulla partecipazione delle banche al programma per le pmi si avranno non prima di dicembre, quando scatterà la seconda delle 6 aste Tltro programmate dalla Bce per un totale di 400 miliardi, l’esito dell’assegnazione di ieri non è stata del tutto una sorpresa nemmeno a Francoforte: non solo perchè l’asta è caduta proprio alla vigilia della pubblicazione degli stress test sui bilanci bancari – un esame che mette in tensione le banche e le spinge alla prudenza – ma soprattutto perchè è ormai da tempo che la stessa Banca centrale europea va ripetendo che le manovre sulla liquidità servono a stabilizzare il mercato finanziario, ma possono fare poco o nulla per rilanciare l’economia europea e soprattutto quella dei paesi periferici dell’Eurozona la cui ripresa (anche in termini di investimenti esteri e di fiducia dei mercati) molto dipende dalle riforme strutturali, dal varo di efficaci politiche industriali e soprattutto dalla capacità della classe politica europea di rispondere con nuove politiche di bilancio più flessibili alle sfide di una crisi che non si può più nemmeno definire a macchia di leopardo.

Il non aver affrontato per tempo la crisi industriale e occupazionale in Paesi chiave dell’Unione Europea – come per esempio l’Italia – ha generato infatti una sorta di effetto-domino sulle economie circostanti, fino a ostacolare la ripresa in paesi-guida come la Germania o a peggiorare situazioni già in bilico come quella francese. Ora che lo stallo dell’economia europea è chiaro a tutti – come confermano i recenti allarmi di tutte le organizzazioni economiche e finanziarie internazionali, dall’Fmi all’Ocse fino all’Eurotower di Mario Draghi – il vero nodo della questione è che cosa farà Bruxelles sul fronte politico per dare peso, sostanza e prospettive alla manovra di stimolo monetario appena avviata da Francoforte. Qui non si tratta più solo di discutere i margini di flessibilità fiscale che ogni Paese ha il diritto di avere per fronteggiare una crisi economica, ma di fare almeno tre passi in più: dare un ruolo alla Commissione nel decidere piani di intervento di sostegno straordinario per i casi di crisi industriale più acuta a livello nazionale o regionale, aumentare il bilancio della Ue per dotarlo di risorse ad hoc da utilizzare nel sostegno dell’occupazione laddove le crisi industriali hanno superato il livello di guardia. Non ultimo, rivedere il sistema di regole sulla stabilità del mercato finanziario e dell’industria bancaria per ridurre, se non temperare, quelle norme chiaramente pro-cicliche che hanno costretto le banche di ogni tipo e dimensione a stringere il credito per sostenere (o evitare) drastici interventi di ricapitalizzazione e pulizia dei bilanci.

Oggi per una banca è estremamente oneroso non solo detenere partecipazioni azionarie nelle aziende – fenomeno tipico dei mercati come il nostro in cui il ruolo del mercato dei capitali è stato tradizionalmente svolto dal settore bancario – ma anche erogare credito alle piccole e medie imprese, che sono non a caso le più colpite dal credit crunch. Secondo i parametri di Basilea 3, la banca che presta soldi a una piccola azienda la cui solidità o patrimonializzazione non è eccellente (e quale Pmi non si trova oggi in questa situazione?) è costretta a effettuare accontamenti che si avvicinano ormai alla stessa entità del prestito: a che serve allora dotarsi di liquidità aggiuntiva? In conclusione, il flop dell’asta Tltro è in realtà un messaggio molto chiaro lanciato dalle banche ai governi e alle istituzioni europee: la liquidità è utile per sostenere il mercato finanziario, per uscire dallo spettro della deflazione e per rafforzare il patrimonio del settore creditizio attraverso gli acquisti di titoli di Stato. Ma se l’obiettivo è quello di rilanciare l’economia, serve molto di più del denaro facile: servono politiche industriali per indirizzare gli investimenti delle imprese, serve un’Europa più consapevole dell’interdipendenza che lega i destini – e le economie – dei suoi stati membri.


Autore: Alessandro Plateroti
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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