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Carige: ipotesi cessione 500 milioni di sofferenze

Il Gruppo Banca Carige, nel recente passato, è stato al centro delle cronache (locali e nazionali) per le note vicende giudiziarie. I procedimenti, che riguardano la precedente gestione, inevitabilmente hanno relegato in secondo piano l’andamento del business. Utile, quindi, è conoscere quali le dinamiche dell’attività dell’istituto di credito. Un’attività, peraltro, da analizzarsi tenendo conto del contesto in cui si evolve. Vale a dire, un turn around aziendale articolato su vari fronti: dall’avvenuto rinforzo patrimoniale (con l’aumento di capitale da 800 milioni) alla «pulizia» del credito fino alla riorganizzazione societaria.

Ciò premesso, deve rilevarsi che nel primo semestre del 2014 il margine d’interesse è diminuito (-12,3%) sui 12 mesi. Il calo, a ben vedere, è conseguenza per l’appunto anche, e soprattutto, dalla voluta riduzione dei rischi finanziari. Da un lato, c’è stata la ri-qualificazione dei crediti (con circa 670 milioni di sofferenze nel 2013) che ha diminuito le masse fruttifere; e, dall’altro, la banca ha ri-modulato il portafoglio titoli per abbatterne la rischiosità e migliorare (più in generale) il profilo di liquidità del gruppo. In particolare, rispetto al portafoglio dei titoli di Stato, c’è da rilevare che oggi il loro controvalore è circa 2,6 miliardi. Cioè, meno della metà dell’ammontare di inizio anno. Inoltre, la scadenza media è stata abbassata intorno a 1,8 anni (erano 6 a fine 2013). Insomma, il cambio di rotta non è stato da poco. Al di là di questo, tuttavia, resta la preoccupazione per la dinamica al ribasso del margine d’interesse. Quali allora i suoi possibili sviluppi? Per rispondere può guardarsi al combinato-disposto degli interessi passivi e attivi. Ebbene, sul primo fronte il costo della raccolta è previsto in discesa. Carige è tornata ad emettere obbligazioni retail. Un primo bond (150 milioni) è stato interamente sottoscritto. A fine settembre, poi, sarà chiusa un’altra emissione (sempre da 150 milioni). Si tratta di obbligazioni che, agli attuali tassi di mercato, riducono l’onere del funding. Ma non è solo i bond retail. L’istituto di credito infatti partecipa (ha richiesto 700 milioni) al programma T Ltro della Bce. Di nuovo, il prendere in prestito denari (da destinarsi alle imprese) al tasso dello 0,15% aiuta (anche) a schiacciare il costo della raccolta. 
Fin qua gli interessi passivi: quale però la dinamica degli impieghi? Ebbene qui, detto delle operazioni di «pulizia» sul credito, Carige da un lato sottolinea che da maggio è stato creato un focus sulla rete commerciale per erogare credito; ma, dall’altro, indica che non si è ancora concretizzato il punto di svolta. Cioè, non si assiste alla rimonta dei prestiti. 
A fronte di questo trend, viene logico ipotizzare la difficoltà nel raggiungere gli obiettivi (riguardo ai prestiti) indicati nel piano d’impresa 2013-2018. La banca non condivide la considerazione. In primis, è ancora troppo presto per valutare gli effetti della strategia avviata in maggio. Inoltre, l’attuale situazione, indica Carige, non definisce alcuna novità rispetto a quanto previsto nel piano industriale. Così, la crescita media annua degli impieghi lordi è confermata all’1,8%. Rispetto al tema dei prestiti, peraltro, la società sottolinea la volontà di realizzare un maggiore focus sulle Pmi. Al che sorge un altro dubbio: a fronte della continua recessione in Italia, scommettere su imprese medio e piccole (più in difficoltà nella congiuntura globale) può non essere azzeccato. L’istituto di credito di nuovo non condivide il timore. Dapprima, la diversificazione su più soggetti (medio-piccoli) permette di ridurre il rischio del credito. E poi, la vicinanza al cliente offre maggiore controllo. 


Dal margine d’interesse a quello d’intermediazione. Rispetto a quest’ultima voce contabile un po’ tutte le banche italiane, vista la debolezza degli impieghi, allargano il loro perimetro. Cioè, spingono su commissioni e consulenza. Carige non è da meno. Certo, può obiettarsi che le sue «fee» nette a fine giugno erano in calo. E, tuttavia, è facile controbattere che nella prima metà del 2013 Carige aveva ancora la fabbrica-prodotto. Quindi il confronto (ceduta la Sgr) non è significativo. In realtà, sempre nel primo semestre dell’anno, l’asset under management è salito del 5,7%. Quindi gli sforzi sul risparmio gestito (e consulenza) ci sono. Così Carige, ribadendo la validità delle indicazioni di piano, conferma tra il 2013 e il 2018 un incremento medio annuo del margine d’intermediazione al 5,8%, 
Ciò detto, quale la strategia sul fronte dei costi? Qui la volontà è di proseguire nella razionalizzazione della struttura e nel pressing sugli oneri operativi. Entro la fine dell’anno è prevista, da un lato, la chiusura di 32 filiali (80-90 quelle complessive indicate nel piano d’impresa); ma soprattutto, dall’altro, c’è l’auspicio di arrivare (sempre nel 2014) all’accordo per il piano di circa 600 esodi incentivati. Se l’ipotesi si realizza, i costi nel 2014 sarebbero i seguenti: circa 10 milioni per le filiali e intorno a 50 per gli esodi (i quali, va ricordato, sono spesati una tantum nell’esercizio in cui è definita l’intesa). Entrambe le operazioni, evidentemente, sono finalizzate anche a fare scendere il cost/income. L’obiettivo, nel 2016, è di arrivare al 58,1% e, poi, nel 2018 al 51,4%. 
Ma non sono solo gli oneri. Un altro tema monitorato dagli esperti è quello dei prestiti problematici. Su questo fronte deve rilevarsi che i crediti deteriorati al 30 giugno scorso sono cresciuti (+4,8%) rispetto a fine 2013. Certo, si tratta di una dinamica al rialzo trasversale a tutto il sistema bancario italiano. E tuttavia, il risparmiatore esprime preoccupazione per un trend sempre in salita. La banca, pur conscia del tema, rigetta la preoccupazione. La gestione rigorosa del credito, è l’indicazione, costituisce uno dei focus del nuovo corso aziendale: tanto che nel 2013 sono state realizzate oltre un miliardo di rettifiche. Inoltre, lo stock di posizioni scadute (primo livello dei prestiti deteriorati) e di quelle ristrutturate (secondo livello) è diminuito. Cioè, c’è il segnale del miglioramento del flusso da crediti in bonis a problematici. Infine, dice Carige, il livello di copertura dei deteriorati è salito al 36,9%. Insomma, la situazione viene gestita. 
Anche con operazioni straordinarie? La banca, su questo fronte, ha un approccio prudente. Il target non è fare cassa con i «non performing loan». Bensì, liberare le strutture che li gestiscono vendendo singole posizioni non cosi rilevanti. In tal senso, indica Carige, è al vaglio la cessione di un portafoglio di sofferenze per un controvalore di circa 500 milioni. Ben più importante, come operazione straordinaria, è invece la vendita (oltre alle partecipazioni no core) degli asset assicurativi. Carige ha una trattativa in esclusiva con il fondo Apollo. La banca si dice fiduciosa di riuscire a raggiungere l’accordo in settembre. E, poi, di realizzare il closing entro l’anno. 


Si tratta di un’operazione che, secondo i criteri definitivi di Basilea 3, vale 70-80 punti base di maggiore patrimonializzazione. Quel Cet 1 che, secondo invece i principi transitori di Basilea 3, al 30 giugno valeva pro-forma il 9,9%. Un livello, nell’assunto della cessione degli asset assicurativi, considerato da Carige soddisfacente. E che può costituire il punto di partenza per sviluppare il business, tornando a break even (a livello di utile) nel 2015. 
Già, tornare al break even. Al di là delle strategie di business, tra i risparmiatori esiste però un altro timore: quello del gap reputazionale. Cioè: le indagini giudiziarie, che vedono coinvolti soggetti della precedente gestione, possono costituire una spada di damocle sullo sviluppo del business stesso. La Carige, su questo tema, si dice consapevole della situazione ma sottolinea che, al di là del contenimento dei rischi finanziari, sono stai rivisti i sistemi di controlli interni e i meccanismi di governance. Ad esempio, oltre al nuovo sistema di deleghe, è stato costituito il Comitato Crediti che presidia l’area dell’erogazione dei prestiti. Il giro di vite indicato è, indubbiamente, importante: tuttavia, può obbietarsi che non solo non bisogna essere «la moglie di Cesare» ma neppure apparire tali. L’istituto di credito ribatte che la prova di come il mercato abbia rilevato la discontinuità con il passato è data da diversi eventi: il successo dell’aumento di capitale, con il 20% di quota sottoscritta dal retail; poi, la raccolta di conti correnti e depositi che è cresciuta nel primo semestre (+3,6%); infine, il positivo riscontro sulle obbligazioni. Tutti segnali, dice Carige, di come il mercato apprezzi il nuovo corso.


Autore: Vittorio Carlini
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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