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Intesa Sanpaolo ha bisogno di una bad bank?

Il fatto che se ne sia interessato addirittura il Financial Times deve far riflettere: Intesa Sanpaolo, una delle banche più importanti del nostro paese, è pronta a creare una bad bank al proprio interno, in modo da poter mettere a riserve i propri prestiti in sofferenza. Si tratta di una cifra pari a cinquantacinque miliardi di euro, come anticipato nei giorni scorsi da Carlo Messina, consigliere delegato dell’istituto torinese.

Questa bad bank, cioè la società che viene tipicamente costituita per destinare i crediti anomali, dovrà comunque essere discussa insieme agli azionisti nel corso delle prossime settimane. Il momento giusto in calendario potrebbe essere quello del prossimo 28 marzo, vale a dire il giorno che è stato scelto per discutere i risultati della seconda banca italiana per quel che riguarda il 2013. Che scenario si può immaginare per Intesa alla luce di tale scelta?

Nonostante tutte le rassicurazioni del caso e la sottolineatura che le posizioni su cui si deciderà saranno di forza (mettendo da parte le debolezze), le polemiche non mancheranno. In particolare, si discuterà parecchio delle sofferenze bancarie, oltre al bisogno o meno di creare una bad bank statale, un po’ come è avvenuto in paesi come Spagna e Irlanda. Anche Roma sarà costretta a muoversi in questa maniera seguendo l’esempio di Madrid e Dublino?

Sia la Banca d’Italia che il Fondo Monetario Internazionale si sono affrettati ad escludere una ipotesi del genere, ma c’è già chi pensa a una bad bank dalla capacità compresa tra i nove e i dodici miliardi di euro (si tratta del capitale di base per la precisione). Se si guarda all’estero si può fare un paragone con Royal Bank of Scotland, il colosso britannico che da tempo gestisce in questo modo le proprie sofferenze.


Fonte:

Il Journal

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