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Non perfoming loans gli investitori esteri tornano a comprare

l lungo purgatorio delle banche italiane potrebbe finalmente concludersi. Questa primavera. Anche se prima gli istituti dovranno passare per le forche caudine di un quarto trimestre 2013 i cui effetti si leggeranno sull’ultima riga dei conti economici. Assisteremo ancora a bilanci con forti svalutazioni dovute all’innalzamento delle coperture dei crediti dubbi (Bankitalia sta spingendo da tempo in questa direzione) a cui seguirà la stagione degli aumenti di capitale (il Banco Popolare lo ha già annunciato, ma poi sarà la volta di Mps e di Popolare di Milano). Infine l’azione congiunta dell’Asset Quality Review della Bce e gli stress test faranno il resto. Mettendo a nudo le banche italiane. Diverrà chiaro se le coperture sono corrette e se il collaterale è buono. Infine gli stress test consentiranno di verificare la tenuta del sistema. Ma sarà un momento di verità che darà i suoi frutti. La combinata della revisione degli attivi e gli stress test, la riduzione dello spread e la forte liquidità di in cui si trovano molti fondi stranieri, le previsioni macroeconomiche sullo stato dell’economia del Paese sono tutti elementi che stanno rimettendo in moto il mercato dei non perfoming loans, cioè dei crediti problematici di cui sono piene le banche italiane. E per il sistema alleggerirsi da questo fardello significa poter ricominciare ad avere un’operatività che sa di normalità.

Le banche italiane, secondo un’analisi condotta da Mediobanca, sono quelle con la maggior incidenza tra crediti deteriorati sul monte dei crediti totali. Nelle prime cinque posizioni dei principali istituti europei troviamo nell’ordine: Mps con il 19% di incidenza, Banco Popolare, 17%, Unicredit, 14%, Intesa 13% e Ubi 13%. Per contro i tassi di copertura sono esattamente capovolti, sono cioè tra i più bassi d’Europa. Per esempio Santander, che ha un’incidenza di crediti dubbi del 5%, mostra indici di copertura del 73%. Mentre il coverage ratio delle banche italiane sta sotto il 50%, Intesa e Unicredit sono al 48%, in fondo agli istituti europei ci sono Ubi, 32% e Banco Popolare, 29%. Secondo Kpmg, se si fa riferimento alla copertura delle sole sofferenze, il dato raggiunge un valore medio compreso tra il 55% (Banco Popolare) e il 61 % (Intesa Sanpaolo). La Bce l’anno scorso ha posto l’attenzione sulla necessità di alzare gli indici di copertura, e questo ha stimolato a livello europeo la ripartenza del mercato della cessione degli npl. Viceversa in Italia è rimasta una sostanziale stagnazione.

Ma da inizio anno il dato che emerge è di un ritorno dell’interesse degli investitori stranieri per questi asset. Ed è un segnale positivo. In senso assoluto, perché liberare il sistema dalla zavorra delle sofferenze significa non solo aumentare la disponibilità di capitale, ma iniziare un’operazione di rerating di cui gioveranno sia le quotazioni borsistiche che il costo del funding.

In tutto il sistema ha 273 miliardi di euro di crediti problematici, tra sofferenze, incagli, ristrutturati e scaduti. Le sole sofferenze ammontano a quasi 150 miliardi di euro (144,6 miliardi il dato Bankitalia del settembre 2013), una crescita da giugno 2011 del 50%. La previsione è che nell’arco di un biennio gli istituti cedano almeno un terzo di queste sofferenze lorde. Con l’effetto positivo di liberare capitale.

Ma la cessione dei crediti non perfoming in generale consente anche di ridurre il costo del funding che oggi sta limitando la capacità di elargire credito. «Il mercato è certamente in movimento – commenta Fabrizio Montaruli partner di Kpmg – dopo anni di stasi vediamo che diversi operatori stranieri specializzati si stanno nuovamente muovendo nel nostro paese». Il dato interessante è che in questa fase si sta riducendo lo spread bid ask e le banche italiane saranno in grado di vendere senza appesantire ulteriormente i propri bilanci. «Il comparto dei non perfoming loans è stato fermo per almeno due anni – continua – e questo soprattutto per un gap di prezzo tra domanda e offerta. I fondi specializzati su questi asset, per lo più anglosassoni, avevano una pretesa di irr (tasso interno di rendimento ndr.) dell’investimento molto elevato. Nell’ordine del 20%. Oggi si intravedono primi avvisi di ripresa, associati ad un lieve calo delle attese sui prezzi da parte dei venditori ed a tassi di rendimento attesi più moderati». «Credo che nel prossimo biennio – dice ancora Montaruli – almeno una significativa tranche (nell’ordine di 10/15 miliardi) delle sofferenze andranno sul mercato. E questo significa togliere un elemento che immobilizzava capitale, e riduceva la crescita del credito».

Alla fine del 2013 UniCredit ha annunciato di aver concluso un accordo di cessione all’investitore statunitense Cerberus di un portafoglio di crediti non garantiti ed in sofferenza derivanti da contratti di credito al consumo e prestiti personali per circa 950 milioni di Euro. E un’operazione simile ha coinvolto 22 banche di credito cooperativo e casse rurali che hanno perfezionato una cessione di crediti deteriorati al fondo americano CRC, per un nominale di 150 milioni di euro. Anche altre popolari non quotate stanno mettendo a punto cessioni di questo tipo (tra queste Veneto Banca che finora avrebbe ceduto circa la metà di un pacchetto di npl per 250 milioni di euro). A partire da marzo aprile dovrebbero iniziare a vedersi le cessioni di altri istituti. In pole position, secondo i rumors, ci sarebbero Mps, il Banco Popolare e Popolare Milano. Tra i nomi è circolato anche quello di Intesa Sanpaolo.


Autore: Roberta Paolini
Fonte:

Repubblica

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