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Perché le banche non fanno credito alle imprese

Le banche prestano sempre meno soldi alle imprese. “Oltre 8 miliardi in meno nel 2014”, è l’allarme lanciato da Confindustria. Il centro studi degli industriali ha previsto una flessione ulteriore dei finanziamenti dell’1 per cento che andrà a sommarsi al 10,5 per cento, valore ottenuto dal picco dei prestiti bancari alle imprese fatto registrare nel 2011. Lo scenario economico penalizza sempre le imprese che hanno bisogno di liquidità, mentre gli istituti di credito prediligono i prestiti alle famiglie. Il motivo è l’avversione al rischio.

I dati di Confindustria seguono quelli della Banca d’Italia che raccontano di una flessione dei prestiti alle imprese nel novembre 2013 pari al 6 per cento, su base annua. La nota del Centro studi si spinge oltre e prova a prevedere il trend del credit crunch per i prossimi due anni. Nella peggiore delle ipotesi si ipotizza un crollo del credito alle imprese del 4,9 per cento nel 2014 (qualcosa come 40 miliardi di euro in meno). Certo, si tratta pur sempre di proiezioni ed è auspicabile anche uno scenario meno drammatico. Ma, sempre secondo l’analisi, all’origine del calo ci sarebbe l’offerta delle banche dal momento che “le previsioni si basano sull’evoluzione nei bilanci bancari del rischio del credito, della capacità di generare utili, dei ratio di capitale e dalla raccolta”. In buona sostanza, il rischio oggi è ai massimi, mentre la capacità di produrre utili ai minimi. Affinché le cose possano migliorare “è cruciale che la valutazione e i test effettuati dalla Bce confermino la solidità dei bilanci bancari così da infondere fiducia negli istituti italiani da parte degli investitori e da abbassare la loro avversione al rischio”.

Qualche segnale positivo, però, c’è. “La posizione patrimoniale delle principali banche italiane è buona nel confronto internazionale”, ammette Confindustria. E anche il valore dell’attivo, in rapporto al patrimonio, è migliore rispetto a quello delle maggiori banche tedesche (18,2 contro il 41 per cento). Cosa non va, allora? Gli utili di esercizio che sono inferiori di cinque punti percentuali e mezzo rispetto a quelli degli istituti tedeschi (7,6 contro il 13,1 per cento). Proprio per questa situazione le banche preferiscono puntare “sui titoli di Stato e mutui ipotecari, con meno credito alle imprese e al consumo”, precisa la nota del Centro studi che spiega come “in Italia e Spagna i titoli pubblici nel portafoglio delle banche hanno iniziato a crescere in coincidenza con la prima maxi-asta della Bce”. Insomma, le banche italiane si comprano il nostro debito pubblico e mettono a disposizione sempre meno fondo per le attività produttive. Con la conseguente sofferenza dell’intero settore e le difficoltà persistenti nel rimettere in moto l’economia.

Una sorta di circolo vizioso in cui a rimetterci sono soprattutto le piccole e medie imprese. Secondo la Cgia di Mestre, tra ottobre 2013 e lo stesso mese del 2012, nel solo Nord Est i crediti sono diminuiti di 6,6 miliardi di euro. “Ormai siamo scivolati in un circolo vizioso – conferma Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. Da un lato, le banche hanno chiuso i rubinetti del credito anche perché è in calo la domanda, dall’altro, chi ha ricevuto gli impieghi non è in grado di restituirlo secondo gli accordi presi, facendo lievitare a dismisura le insolvenze”. In questo gioco perverso soffrono soprattutto le piccole imprese che hanno un potenziale negoziale con il sistema creditizio quasi pari a zero.


Autore: Fabrizio Arnhold
Fonte:

Yahoo Finanza

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