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Per i «piccoli» investimenti ai minimi dal 2007

PEGGIORA IL CREDITO. Crescono anche i tassi di sofferenza e decadimento e le insolvenze. Difficoltà dovute alla contrazione della domanda interna.

I “piccoli” non credono più nel futuro. Hanno raggiunto il livello più basso di investimenti degli ultimi 5 anni (solo il 19,3% di chi ha meno di 10 dipendenti e/o un fatturato inferiore a 2,5 milioni di euro lo ha fatto nel 2011) e si preparano a cedere terreno anche nel 2012 (solo il 17% del totale ne ha l’intenzione). Ma peggiora anche la qualità del credito: crescono il tasso di sofferenza, i tassi di decadimento e l’evoluzione delle insolvenze. Soprattutto nell’edilizia e nel manifatturiero. Anche se il Sud si mostra più reattivo del Nord-est.

La fotografia, diffusa ieri, è stata scattata dall’osservatorio Crif e da Nomisma ed è l’istantanea dell’intelaiatura del nostro sistema imprenditoriale, appunto composto da microimprese e piccoli operatori economici. Che, a giudicare dai dati Crif-Nomisma, investitori non lo sono quasi più se la percentuale, nel 2011, è scesa al 19,3% a fronte del 25,3% registrato nel 2010 e del 35,4% nel 2007, toccando il livello più basso degli ultimi 5 anni (si veda il grafico sotto). In ulteriore calo anche quelli che hanno programmato investimenti nel 2012 (solo il 17% del totale). Il principale ostacolo secondo il campione degli intervistati è la netta flessione della domanda interna, da cui dipende l’andamento delle microattività e che è indicato dal 63,2% degli imprenditori. Nonostante nel 2011 sia cresciuta la quota destinata all’acquisto di macchinari e attrezzature (19,1%) e al rafforzamento della sicurezza aziendale (16,4%), sono proprio queste le voci di investimento che negli ultimi tre anni hanno subito una più drastica riduzione e che subiranno un ulteriore ridimensionamento nel 2012. Quest’anno, poi, la mannaia della riduzione riguarderà con più vigore i capitoli di spesa “immateriali”, come informatizzazione e formazione del personale.

Maggiormente colpite le microimprese del nord-est che mostrano maggiore “stagnazione” e investimenti pari solo al 18%, mentre il centro-sud reagisce e, col suo 20%, si colloca in testa per aree geografiche. Per quanto riguarda la qualità del credito erogato, dalla ricerca emerge che il tasso di sofferenza (almeno 6 rate scadute e non pagate) dei microimprenditori, a settembre 2011, è stato pari al 10%, tornando sui valori sperimentati nel periodo più acuto della crisi, ma le difficoltà del contesto economico determinano un peggioramento anche nell’evoluzione dei tassi di insolvenza. I tassi di insolvenza leggera (1 o 2 rate), dopo essere scesi nel corso di tutto il 2010 sino al 4,6%, hanno ripreso a salire attestandosi a settembre 2011 al 4,9%, così come i tassi di insolvenza grave (da 3 a 5 rate) sono tornati a crescere, chiudendo a fine settembre al 2,14% (nel 2010 avevano toccato a 1,97% il punto più leggero). Anche i tassi di decadimento – che misurano dinamicamente l’incidenza delle nuove posizioni in sofferenza rispetto a un portafoglio di posizioni in bonis all’inizio del periodo di rilevazione – dopo la contrazione dei primi due trimestri del 2011 a settembre hanno invertito parzialmente la direzione: il tasso di decadimento a 180 giorni è, infatti, salito al 3,62%, mentre quello a 90 giorni si è assestato a quota 5,38%, sostanzialmente in linea con il trimestre precedente.

Oggi oltre il 60% della valutazione del merito creditizio di una microimpresa non si basa su dati economico-finanziari ma sulla storia creditizia dell’impresa e su quella personale del suo titolare. Manca una griglia di sistema e di valutazione per l’accesso al credito. Per questo il tandem Crif-Nomisma ha messo a punto uno scoring che cerca di leggere l’affidabilità dell’impresa attraverso informazioni non tradizionali, attraverso la regolarità del pagamento delle utenze, da parte delle imprese, e le relative performance di pagamento verso i propri fornitori.


Fonte:

Il Sole 24 Ore

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