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Donne e investigazione, un binomio vincente su cui punta Business Defence

Intervista a Paola Marinacci, Amministratore Delegato Business Defence

La vostra società è specializzata in Indagini Investigative. Considerando che siete per il 70% donne, potremmo dedurre che ci sia un nesso tra il genere femminile e questo tipo di professione?


P.M. Gli addetti ai lavori ne sono consapevoli, ma forse la maggior parte delle persone ignora che quella dell’investigatore è oggi più che mai un’attività al femminile. In tutte le aziende del settore, infatti, gli uffici indagini sono costituiti in maggioranza da donne che, con la loro formazione, creatività e capacità di analisi, contribuiscono alla continua crescita professionale della figura dell’investigatrice. I nostri collaboratori sono sempre stati quasi tutte donne, non per una sorta di sessismo al contrario, ma perché le donne hanno sempre dimostrato una maggiore propensione a scoprire e collegare gli elementi informativi.
Il nostro ufficio indagini si compone oggi di otto risorse, di cui sette donne, ed è guidato da una donna che, svolgendo questa attività da oltre 30 anni, ha avuto modo di sperimentare la grande inclinazione delle donne nello svolgere indagini. Al di là della formazione accademica (per accedere alla professione occorre una laurea giuridica-economica o in scienze criminologiche), in questo lavoro è fondamentale l’esperienza on the job, effettuata in azienda esaminando i casi più complessi attraverso l’utilizzo di tecniche investigative consolidate che consentono di smascherare truffe di ogni genere.


A proposito di truffe, dalla vostra esperienza chi è più incline a truffare, l’uomo o la donna?


P.M. Da sempre gli uomini hanno dimostrato una maggiore inclinazione a delinquere rispetto alle donne. In tanti studi si legge che c’è una maggiore predisposizione degli uomini all’illecito, dovuta ad aggressività, temperamento e forza fisica più pronunciati rispetto alle donne. Analizzando la statistica Istat sul numero di autori di delitto denunciati/arrestati dalle forze di Polizia nel 2019, emerge che soltanto il 18% delle oltre 840.000 persone coinvolte sono donne. Nel nostro settore capita con una certa frequenza di scoprire durante le indagini che il soggetto indagato ha commesso un reato. Il più gettonato è senz’altro la truffa; nel 2019 sono state denunciate/arrestate per truffe e frodi informatiche poco più di 68mila persone di cui solo il 24% donne (16.490).


Rispetto, invece, alla propensione a fare debiti com’è la situazione?


P.M. Senza dubbio le donne sono migliori pagatrici degli uomini, rispettano meglio le scadenze, vengono protestate meno e soddisfano di più, ex post, il creditore. In sintesi sono mediamente meno propense al rischio. Tuttavia le donne hanno maggiore difficoltà di accesso al credito: per una serie di fattori, infatti, le banche sono ancora restie a fidarsi delle donne. La causa principale è il livello di occupazione femminile che in Italia è ferma al 48,5% rispetto al 67,2% di quella maschile; inoltre, le donne hanno spesso contratti precari (solo il 52% delle occupate ha un contratto a tempo indeterminato) o inquadramenti part-time che offrono minori garanzie. Se poi contiamo il cosiddetto gender pay gap, con un differenziale del 23,7% a favore degli uomini che guadagnano in media 1715 euro mensili contro i 1467 delle donne, il quadro è completo: le donne guadagnano meno, quindi sono meno propense ad esporsi ai rischi e le banche meno propense a concedere credito. Un circolo vizioso che scoraggia l’imprenditoria femminile poiché le aziende “rosa” sono percepite dagli istituti finanziari come più rischiose, a bassa potenzialità di crescita e specializzate in settori non particolarmente produttivi. Fortunatamente negli ultimi anni si è sviluppato molto il crowfunding che, ad oggi, è l’unica forma di finanziamento nella quale le donne imprenditrici hanno più successo degli uomini. Si stima che le campagne di raccolta promosse da imprenditrici abbiamo circa il 32% di probabilità in più di avere successo rispetto a quelle condotte dagli uomini.

Quali sono le ragioni di questo successo?


P.M. Innanzitutto, le imprenditrici hanno una migliore capacità di comunicare il progetto, utilizzando un linguaggio più comprensibile e attraente per un potenziale finanziatore, considerato che le piattaforme di crowdfunding si rivolgono a un pubblico di operatori non specializzati in trading finanziario. Questo fa sì che non scatti quel meccanismo di gender bias (pregiudizio di genere) documentato dall’evidenza empirica, che invece contraddistingue il mondo degli investitori professionali, caratterizzato in maggioranza da uomini. Le donne, quindi, risultano maggiormente credibili, affidabili e propense a proporre nuove idee argomentate e dettagliate. Sarebbe forse utile che le banche iniziassero a raccogliere e rendere pubblici i dati disaggregati relativi al genere della loro clientela (informazioni che, oggi, non sono disponibili). Da una nostra analisi effettuata su un campione di 200.000 posizioni trattate relative ai servizi richiesti con finalità di recupero del credito è emerso che solo il 39% dei soggetti erano donne e il 61% uomini. Sarebbe utile pubblicare le statistiche su questa materia, in modo da rendere tutti più edotti, al fine di garantire un più facile accesso al credito per le donne e un maggior sostegno all’imprenditoria femminile.


Quali sono le qualità che contraddistinguono le donne alla guida di un’azienda?


P.M. Le donne hanno una spiccata capacità di saper cogliere in maniera scrupolosa le sfumature delle cose, di sapere comprendere al meglio gli altri e di comunicare i propri pensieri in modo efficace. Comunicazione, empatia, vision, innovazione, affidabilità e responsabilità sono le qualità delle donne alla guida di un’azienda, a cui vanno aggiunte determinazione e creatività, indispensabili a sviluppare progetti e nuovi mercati. Inoltre le donne al comando fanno crescere l’utile dell’azienda e lo confermano non solo le ricerche di mercato, ma soprattutto i fatti e le storie di tutti i giorni che ci ricordano quotidianamente quanto l’apporto femminile al mondo del lavoro sia una fonte inesauribile di sorprese e ricchezza per tutti. Per fortuna nell’ultimo decennio la presenza femminile all’interno dei Cda delle aziende quotate italiane a maggiore capitalizzazione ha avuto un incremento del 33%. Ma la strada è ancora lunga.

ARTICOLO PUBLIREDAZIONALE