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Torna l’incubo delle insolvenze

Si inverte la rotta e, dopo il rallentamento dello scorso anno, il rischio di default delle imprese, in tutto il mondo, riprende la sua corsa: dal -14% dei livelli di insolvenza del 2020, secondo le stime, quest’anno si passa a un +26 a livello globale. Resta fuori la Turchia che già lo scorso anno registrava dati di peggioramento. Non è esclusa, invece, l’Italia che si piazza a metà della classifica. Sono le previsioni di Atradius, società tra i big mondiali dell’assicurazione del credito, cauzioni e recupero crediti, secondo cui le cause di questo trend sono da ricercare nel graduale ritorno delle economie allo status precedente alla pandemia. Questo riguarda in particolare la gestione legale delle procedure fallimentari e la progressiva eliminazione delle misure fiscali e di sostegno alle imprese adottate dai governi locali. Per questi motivi, numerose imprese con forti pressioni sulla liquidità, che hanno potuto beneficiare delle misure di sostegno, saranno più esposte al rischio di default sui pagamenti, con evidenti effetti a cascata sulle catene di fornitura e sul sistema economico locale e globale.

Focus sull’Italia. «Il decremento dei tassi d’insolvenza (-29% anno su anno) osservato da Atradius in Italia nel 2020 ha carattere di eccezionalità ed è dovuto esclusivamente all’evenienza straordinaria che ha attraversato il nostro Paese (e il mondo) nel corso dell’anno», spiega a ItaliaOggi Sette Massimo Mancini, country director di Atradius per l’Italia. «Il dato è indice dell’interdipendenza di una serie di fattori che hanno avuto un impatto sulla congiuntura economica, quali le misure di sostegno alle imprese e la sospensione delle attività di gestione delle procedure fallimentari, che hanno di fatto cristallizzato situazioni di difficoltà di molte imprese, destinate a tornare alla luce una volta superata l’emergenza pandemica. La drastica inversione di tendenza prevista per quest’anno con un +48%», aggiunge, «è di fatto un dato previsionale la cui realizzazione dipenderà solo ed esclusivamente dal perdurare o meno delle misure fiscali e di sostegno governativo e da cosa accadrà alla ripresa delle attività di gestione delle procedure fallimentari. Quella che stiamo attraversando è una evenienza straordinaria, senza precedenti. Le misure adottate nel nostro Paese per fronteggiare l’emergenza pandemica hanno carattere di eccezionalità e hanno portato ad arginare per quanto possibile le numerose situazioni di difficoltà in cui si è trovato d’improvviso il tessuto economico italiano, e con esso la sua parte più vulnerabile, cioè le pmi. Obiettivo primario delle misure è quello di riportare stabilità al sistema, ma la situazione attuale sembra ancora lontana da questo, nonostante», precisa Mancini, «i numerosi interventi governativi riguardo al credito bancario per le pmi abbiano contribuito a far riprendere quota, con questo essenziale elemento di sostegno, a comparti della nostra economia. La realtà resta tuttavia estremamente incerta, e a essa si aggiungono nuove normative più stringenti che contribuiscono a rendere la vita delle imprese più difficile. È il caso delle nuove regole europee che hanno abbassato in modo drastico le soglie di default nei confronti delle obbligazioni bancarie, entrate in vigore a partire dal 1° gennaio 2021. Il contesto attuale rende quindi più che necessario per le imprese, soprattutto per le pmi, di qualsiasi settore produttivo, agire verso una oculata gestione del proprio capitale operativo tra cui i crediti commerciali, che nel nostro Paese ne sono una ragguardevole parte per via delle più lunghe dilazioni di pagamento concesse».

I dati globali. Gli aumenti più significativi dei livelli d’insolvenza sono attesi in Australia (+88%) e Singapore (+75%). In Europa, la Francia (+80%) è in testa alla classifica, seguita da Austria (+73%), Belgio (61%) e Regno Unito (+56%). A metà, e comunque sotto la media del 50%, seguono la Spagna (+49%), l’Italia (+48%) e i Paesi Bassi (+44%). In coda l’Irlanda (+3%).

Fonte: Italia Oggi

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