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Mps vola, il mercato annusa l’M&A. Exane: farà male agli azionisti di Unicredit

Mps è stata sospesa questa mattina a Piazza Affari per eccesso di rialzo e poi ha ripreso le contrattazioni con un guadagno del 7,83% a 1,12 euro, mentre Unicredit sale del 2,59% a 6,57 euro dopo le voci insistenti nel weekend di un aumento di capitale nella banca senese zavorrata da 10 miliardi di possibili cause e poi di una fusione per incorporazione nel gruppo guidato dal ceo Jean Pierre Mustier. Il mercato annusa odore di operazione straordinaria, anche se gli analisti sono piuttosto critici. Entrambi gli istituti pubblicheranno i conti il 5 novembre.

Fonti del ministero dell’Economia sabato hanno definito destituite di fondamento le notizie riguardo a una proposta fatta dal Tesoro a Unicredit per Mps, che avrebbe comportato un’iniezione di capitale da parte dello Stato di 2-2,5 miliardi per eventuali maggiori rischi legali e per i costi legati a circa 6.000 esuberi e ulteriori 3 miliardi di crediti fiscali differiti.

Il cda dell’istituto senese torna intanto a riunirsi oggi pomeriggio, in via straordinaria, dopo la decisione sui nuovi accantonamenti (attorno a 400 milioni di euro) assunta dal board giovedì. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha detto sabato che il governo sta lavorando per sostenere la banca e che, grazie ad un negoziato con l’Unione Europea, ha definito un percorso di rilancio “che deve passare anche da un’operazione di fusione con un partner forte”. Gualtieri ha aggiunto che si tratta di “un processo che può prendere diverse forme”, senza fornire ulteriori dettagli.

Gli analisti di Exane Bnp Paribas si chiedono oggi prima di tutto se saranno sufficienti 2,5 miliardi di euro per riportare il Monte in una situazione di solidità patrimoniale.  Secondo le stime dei broker, il Cet 1 Fully loaded scenderà al 9% circa nel 2020 e all’8,2% nel 2021 e nel 2022. Il calo è visto come la conseguenza del quarto trimestre in cui le attese sono per 3,5 miliardi di euro di asset ponderati per il rischio. Dalle attese, un aumento di capitale di 2-2,5 miliardi aumenterebbe l’indicatore Cet 1 Fully loaded della banca di 3,7-4,5 punti percentuali all’11,9-12,8%, ma prima di tener conto di eventuali accantonamenti aggiuntivi per rischi di possibili cause.

Sulla dote fiscale che Mps porterebbe in dote a Unicredit, 3 miliardi circa, Exane ritiene che avrebbe “poco valore per la banca milanese, perché  querst’ultima dispone già di oltre 3 miliardi di crediti fiscali, le Dta, per le perdite riportate”.

Nel caso in cui l’operazione venisse portata a compimento, i broker stimano un Cet 1 Fully loeade del 12% nel 2023 per Unicredit, dopo aver assorbito  235 punti base in seguito alle nuove normative europee, compresa Basilea 4 nel 2023 e pagato circa 6 miliardi di euro in dividendi e buyback nel periodo.  Il valore del 12% si confronta con il 13,85% di CEt 1 Fully loaded alla fine di giugno 2020.

Exane ricorda in ogni caso che il ceo Mustier ha ripetutamente negato ogni forma di M&A in Italia e all’estero. Gli analisti spiegano che, “sebbene in caso di fusione vi siano sinergie di costi, queste andrebbero a scapito di una minore solvibilità e minori distribuzioni di capitale. Un accordo di questo tipo non creerebbe necessariamente valore per gli azionisti di Unicredit”.

Anche per Equita Sim un’operazione del genere presenta “più rischi che opportunità per Unicredit”, con un conseguente aumento del profilo di rischio e un impatto negativo sulla valutazione.

Infatti, spiega Giovanni Razzoli, analista bancario della Sim milanese, i rischi legali per il gruppo milanese salirebbero da 10,7 miliardi (coperti al 7%) a 21 miliardi (coperti al 12%), con una componente specifica per Mps di circa 6 miliardi, coperti al 24%, “livello che potrebbe essere ritenuto non sufficiente dal mercato”.

A questo si aggiunga che Unicredit “non riuscirebbe a soddisfare la condizione di neutralità sul Cet 1 dopo l’operazione perché Mps, in seguito all’accordo con Amco sul derisking, ha un indice di solidità patrimoniale sotto al 10% contro il 13,2% di Unicredit e le nuove risorse dell’aumento di capitale verrebbero impiegate per la ristrutturazione”, scrive Razzoli.

Anche per Equita la banca milanese non riuscirebbe a utilizzare in pieno, nei prossimi due anni, le Dta di Mps per  3,7 miliard “vista l`attesa di una
redditività ridotta” e, anche ipotizzando sinergie da costo rilevanti, nell’ordine di 764 milioni, ovvero pari al 31% della base di costi di Mps, l’operazione sarebbe diluitivo del 20% sull’Eps 2022-23 di Unicredit.

Nell’operazione, il Mef diventerebbe il primo azionista di Unicredit con il 17% ipotizzando un concambio a prezzi di mercato, “creando incertezze di governance e un rischio di overhang sul titolo”, Unicredit migliorerebbe però il posizionamento a livello nazionale con una quota di mercato che passerebbe dall’11% al 16,5% mentre Intesa Sanpaolo è al 19%, “ma non aumenterebbe in modo rilevante la presenza territoriale nelle regioni più ambite, ovvero la Lombardia, che passerebbe dal 7% all’11% e il Piemonte che salirebe dal 14% al 15%”, nota Razzoli.

Infine, un’eventuale business combination con Mps, allontanerebbe l’ipotesi di spinoff in corso (si veda la creazione in atto di una subholding) delle attività italiane da quelle estere di Unicredit perché le attività in Italia, caratterizzate da margini inferiori e più alto costo del rischio rispetto al resto del gruppo, “non riuscirebbe a garantire gli stessi ritorni su base standalone rispetto alla situazione attuale”.

Autore: Elena Dal Maso

Fonte: Milano Finanza

 

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