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Banco Bpm affronta gli incagli

Dopo il lavoro sul fronte delle sofferenze culminato nell’alleanza strategica con Credito Fondiario, Banco Bpm mette nel mirino gli unlikely to pay. A poche settimane dalla nomina del nuovo consiglio di amministrazione, il gruppo guidato dall’amministratore delegato Giuseppe Castagna è pronto a compiere un ulteriore passo nel processo di de-risking dell’attivo. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, starebbe infatti per partire un assessment su un portafoglio dal valore nominale di 2 miliardi di euro. L’esame, affidato a un advisor di imminente nomina, servirà per vagliare le diverse opzioni sul tavolo e individuare quella più conveniente per la banca. Un percorso simile a quello fatto negli anni scorsi prima di avviare la trattativa con il Fonspa.

Le opzioni sul tavolo? Da un lato, proprio come accaduto in passato, Banco Bpm potrebbe siglare un’alleanza con un partner industriale specializzato nella lavorazione di questa tipologia di crediti. Qualcosa di simile, insomma, a quanto fatto da Intesa Sanpaolo, che l’anno scorso ha stretto un accordo con Prelios per un portafoglio di unlikely-to-pay (utp) dal valore complessivo di circa 10 miliardi di euro. In alternativa o parallelamente a un’iniziativa di questo genere l’istituto potrebbe cedere una parte del portafoglio proprio come fatto nel corso del 2019 dalla Ca’ de Sass. In questo caso però Banco Bpm dovrà valutare con attenzione gli impatti patrimoniali di un eventuale deal, fermo restando che il gruppo potrebbe giocare alcune carte per rafforzare il capitale come la quotazione della partecipata Agos Ducato. Al momento. comunque, tutte le opzioni sono sul tavolo e la banca non avrebbe ancora individuato una strategia. A questo servirà il lavoro con l’advisor.
Occorre peraltro ricordare che oggi in Italia non sono molte le possibili controparti di un deal sugli utp. Se la presenza di investitori speculativi si è notevolmente diradata, sul mercato si sta consolidando la posizione di operatori industriali come per l’appunto Fonspa, Illimity, Intrum o DoValue.
Banco Bpm non è l’unico istitutivo impegnato in attività di de-risking in questa fase. Come riportato nelle scorse settimane da MF-Milano Finanza, anche Unicredit ha in pista alcune iniziative. La banca guidata dall’amministratore delegato Jean Pierre Mustier starebbe sondando investitori italiani e internazionali per la cessione di diversi portafogli di crediti deteriorati dall’importo complessivo di quasi 5 miliardi. Nello specifico, Unicredit avrebbe messo sul mercato un portafoglio dall’importo da 2,5 miliardi di crediti in leasing, uno stock di 1,2 miliardi di non performing loans e un ulteriore pacchetto da un miliardo di unlikely-to-pay. Proprio quest’ultimo portafoglio (chiamato Project Dawn) era già stato messo in vendita attorno alla metà dello scorso anno per poi essere ritirato dal mercato prima della presentazione del piano industriale.
Rimane invece per il momento in stand-by il progetto di de-risking di Montepaschi in vista della privatizzazione. L’idea condivisa nei mesi scorsi dal Tesoro con la Commissione Ue prevedeva la cessione di un portafoglio di non performing exposure vicino a 9,7 miliardi. Uno stock inferiore quindi rispetto alle ipotesi più ambiziose circolate nei mesi scorsi (l’asticella era stata elevata fino a 14,5 miliardi, pari all’intera esposizione deteriorata riportata nella trimestrale al 30 settembre). Anche così però l’operazione avrebbe avuto un impatto decisivo sugli attivi della banca senese, riducendone la rischiosità. Sotto il profilo tecnico il portafoglio sarebbe stato trasferito ad Amco (la ex Sga) attraverso una scissione societaria che avrebbe isolato la good bank dalla bad bank. Il progetto è stato a lungo oggetto di discussione tra il Tesoro e la Commissione Ue, ma la pandemia e la nomina del nuovo cda di Mps hanno per il momento imposto una battuto d’arresto alla delicata trattativa.

Autore: Luca Gualtieri

Fonte: Milano Finanza

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