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Fintech italiano in ritardo, ma l’emergenza rappresenta un’opportunità

Il fintech italiano è in ritardo, ma l’attuale emergenza potrebbe contribuire alla maturazione del comparto contribuendo a colmare il gap con lo scenario globale. Se il rischio della crisi è quello di una riduzione dei fondi di venture capital, già peraltro insufficienti, non mancano le potenzialità sotto la spinta forzata dall’emergenza verso l’innovazione e la digitalizzazione, che non rimane limitata allo smart working e alla scuola a distanza.

L’Italia sconta infatti un ritardi significativo anche per quanto riguarda la digitalizzazione in ambito finanziario, nei rapporti dei clienti con banche e assicurazioni: per questo si può ipotizzare che la situazione contingente possa portare a un incremento dell’uso dei servizi digitali, focalizzandosi soprattutto su quelli in cui il fintech può garantire velocità, efficienza e semplicità: in particolare la domanda di credito, soprattutto per le Pmi.

È una fotografia a luci e ombre quella che emerge dal rapporto Fintech 2020 per l’Italia pubblicato da PwC. I numeri indicano così un aumento delle aziende del comparto – 49 in più a un totale di 278 con il debutto di nuovi settori come il real estate, i servizi di investimento in criptovalute e il trading di Npl -, del fatturato complessivo – cresciuto del 40% a 373 milioni di euro – e delle dimensioni – le scaleup, con fatturato superiore a un milioni di euro, sono passate da 8 a 37.

Per contro il report PwC sottolinea il solito punto debole dell’assenza di capitali di rischio: gli investimenti si sono ridotti nel 2019 da 197 a 154 milioni di euro, pur senza considerare il singolo maxi-investimento da 100 milioni in Prima. In linea con il mercato internazionale si registra anche in Italia una polarizzazione dei fondi su pochi deal di maggiore dimensione: il 75% dei fondi si concentra sui primi cinque deal, il che rappresenta di per sè un fattore di maturazione del settore.

Altra nota dolente, in linea con lo scenario internazionale, è un livello di redditività inadeguato, con un Ebitda aggregato del settore stabile al 2%, in buona parte attribuibile alla giovane età delle aziende e ai segmenti di attività.

«Mai come ora, il contributo delle aziende FinTech in termini di accelerazione dell’innovazione digitale alle aziende finanziarie tradizionali, può diventare un elemento strategico per un’innovazione volta a rispondere alle nuove esigenze della clientela, sia privati che corporate», commenta Roberto Lorini, Fintech Leader di PwC Italia.

Il settore sta comunque registrando una fase di maturazione, essendo ormai in fase di superamento la fase di disruption pura, avviandosi verso la fase di discussione, anche grazie al contributo della Psd2, mentre ora la spinta dell’emergenza sanitaria potrebbe accelerare la fase delle partnership.

In questa chiave il report di PwC segnala il trend crescente per accordi e partnership tra singole aziende attraverso la creazione di poli di aggregazione e hub o attraverso le piattaforme di integrazione di Open Api, così come quello verso l’allargamento dell’attività delle singole fintech che spesso nascono attorno alla specializzazione su servizi verticali. Un allargamento che può passare anche attraverso l’espansione su mercati esteri, per aziende che di solito hanno costi fissi molto ridotti.

Tra i singoli comparti, quello legato ai pagamenti rimane il maggiore, anche se caratterizzato da margini negativi, mentre il lending, in forte consolidamento, registra redditività positiva. Molto giovane ma già diventato il terzo per fatturato è l’insurtech.

Si delinea sul settore intero intanto l’ombra del TechFin, i colossi di Big tech che hanno ancora investimenti contenuti nel settore, ma che puntano su aziende più mature e di dimensione maggiore di quelle tradizionali del settore fintech.

Fonte: Il Sole 24 Ore