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Open banking, il 2020 sarà l’anno del consolidamento

Se il 2019 è stato l’anno zero della rivoluzione finanziaria in Italia, il 2020 sarà l’anno del consolidamento per quanto riguarda l’open banking. Di cosa si tratta? Stiamo parlando di quel sistema grazie al quale le nostre informazioni e transazioni finanziarie sono liberamente accessibili. Non solo a noi, ma anche a terzi (debitamente autorizzati). Per effetto di questo meccanismo, introdotto dalla direttiva Psd2, dal 14 settembre dello scorso anno, cambiano gli equilibri e la competizione tra banche e società finanziarie-assicurative. In altri termini, le banche sono obbligate ad aprire le Api (Application Program Interface) e i dati del cliente ad altre società. È da questa trasmissione di informazioni che nasce l’idea di open banking. Gli effetti per i clienti? Pagamenti online più semplici, gestione di conti separati su unica piattaforma, gestione dei finanziamenti più puntuale. Il tutto a costi molto più bassi.

A fare questa previsione è Fabrick, realtà nata per favorire l’open banking, che mette a disposizione di operatori bancari e aziende competenze, tecnologie e servizi. Una stima condivisa da BorsadelCredito.it, tra i protagonisti del peer-to-peer lending per le pmi.

Secondo l’analisi di Fabrick, a tre mesi dall’entrata in vigore della direttiva Psd2, il sistema delle banche ha cominciato a cambiare per diventare sempre più una piattaforma collaborativa. Ora quindi, la grande sfida con cui si apre il 2020 è principalmente culturale. Il percorso, tuttavia, è già in atto. I modelli industriali delle banche devono adattarsi, infatti, alla realtà che vede protagonista la disintermediazione dei servizi, ma anche la personalizzazione: i clienti preferiscono far da sé, ma chiedono prodotti su misura. Complice l’evoluzione tecnologica, infatti, stando ai dati Nielsen (giugno 2019) il 35% dei clienti bancari propende per una banca con operatività esclusivamente da mobile; 13,7 milioni di persone gestiscono le proprie finanze solo da smartphone (+31% sul 2018). Come se non bastasse, c’è da fare i conti con la «politica» dei tassi di interesse a zero e con il calo della marginalità, che spinge a ridurre i costi. Da tutto ciò nasce e si sviluppa la collaborazione con le realtà fintech. «Sono ancora diversi gli elementi da valutare, ma quel che è certo è che le evoluzioni tecnologiche e normative stanno cambiando il modo di fare banca», si legge nell’analisi di Fabrick. Diventano protagonisti i servizi, sempre più specifici e verticali, valore aggiunto dell’offerta del singolo istituto. Il concetto di conto evolve come aggregatore di questi servizi che, per essere tempestivi e distintivi, non sono più necessariamente sviluppati internamente, ma in collaborazione con terze parti. «Sposare l’innovazione e stabilire percorsi comuni con il mondo del fintech non è solo un’opportunità, ma una prospettiva inevitabile per il sistema bancario, finanziario e assicurativo tradizionale», sostengono ancora da Fabrick, che segnala come l’ingresso e la crescita di nuovi modelli di business sta già producendo una contrazione delle redditività: secondo l’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, da qui al 2025 nel solo segmento dei pagamenti, le aziende più forti vedranno una contrazione dei ricavi del 34%. Stessa percentuale di decrescita è attesa nel cruciale segmento dell’asset management e cali a due cifre riguarderanno anche i prestiti personali e i mutui. Citando sempre i dati dell’Osservatorio Fintech & Insurtech 2019, l’innovazione digitale del settore bancario e finanziario ha un impatto visibile, con effetti che diventeranno sempre più marcati. Gli operatori tradizionali dovranno innanzitutto saper definire strategie di open innovation e collaborare con attori esterni, tra cui primeggiano le Fintech. Lato startup, quelle italiane stanno improntando il loro modello di business verso un’architettura «open»: il 73% ha avviato almeno una partnership con altri attori, che in metà dei casi non sono finanziari.

Nel corso di questo nuovo anno, secondo le previsioni di Fabrick, il passaggio alla nuova era sarà molto deciso. Il 2020 sarà un anno di messa a regime dei cambiamenti avviati nella seconda metà del 2019 e di definizione di nuovi modelli di servizio. Concorda con queste stime anche BorsadelCredito.it. Per il Fintech italiano, ufficialmente approdato nell’era dell’open banking (o meglio dell’open finance) si aprono sfide interessanti e molte opportunità. Come quella di diventare un polo di riferimento in Europa, mentre aumentano le collaborazioni con le banche e si delinea un nuovo concetto di prodotto al servizio delle nicchie sottobancarizzate.

Il 2020 sarà l’anno in cui l’Italia consoliderà la sua posizione di Paese in cui il Fintech attrae di più gli investitori. Secondo i dati dell’ultimo Osservatorio Fintech & Insurtech del PoliMi, le 1.210 startup presenti sul mercato hanno visto i finanziamenti aumentare del 70% tra maggio 2016 e maggio 2018; per le italiane la variazione è stata del 120%. Uno scenario virtuoso che dovrebbe spingere le banche ad attingere in questo ecosistema per innovare. «Serve una nuova governance. Con la rivoluzione Psd2 soggetti non tradizionali come le big tech possono concorrere grazie a una grande base utenti, bassi costi di acquisizione, accesso a grandi moli di dati e alle licenze di internet banking», afferma Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano. Nella seconda indagine della Banca d’Italia sul Fintech nel sistema finanziario italiano si legge come nel periodo 2017-2020 gli investimenti Fintech del sistema finanziario siano ammontati a 624 milioni di euro, dei quali 233 spesi nel biennio 2017-2018 e 391 previsti in quello successivo (oltre l’80% di questa spesa è complessivamente riconducibile a banche e oltre tre quarti a 10 intermediari; mentre Sim e Sgr non raggiungono l’1% della spesa). Gli investimenti in attività di collaborazione con le Fintech ammontano a 93 milioni di euro (solo il 14% del totale) e la modalità di interazione più frequente è la partnership in forma assoluta (42 intermediari per poco più di 17 milioni di euro) ovvero in combinazione con incubatori, acceleratori e distretti (11 intermediari per 5 milioni di euro) o con l’acquisizione di partecipazioni in imprese Fintech (7 intermediari per 6 milioni). In un mondo che cambia, le banche, spiegano da BorsadelCredito.it, e in generale i fornitori di servizi finanziari, «sono alla costante ricerca di nuove nicchie da servire, che esulino dal retail. Una molto promettente è quella dei lavoratori autonomi, 6 milioni di partite Iva che chiedono prodotti facili e snelli per gestire la parte contabile e finanziaria della propria attività. In generale nel 2020 non basterà un app friendly per avere successo, ma le Fintech dovranno focalizzarsi sulla fornitura di servizi che nel mercato non ci sono.

Fonte: Italia Oggi

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