Dalla Redazione Normativa e regolamentazione

Il debitore esecutato è obbligato a collaborare con il suo creditore

La Corte di Cassazione, Sez. 6 Penale, con Sentenza N. 44895 depositata il 05 novembre 2019, ha fissato importanti principi in materia di pignoramento.

Era accaduto che il debitore, condannato perché – invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti utilmente pignorabili, ometteva di rispondere all’invito a presentarsi presso l’ufficio Notifiche esecuzioni e protesti nel termine di quindici giorni previsto dall’art. 492, comma 4, cod. proc. civ. – ricorreva in Cassazione, assumendo che l’oggetto della dichiarazione per la quale il debitore riceve l’ingiunzione sono esclusivamente i beni pignorabili; con la conseguenza che, se il debitore ne è privo, non sarebbe obbligato a farla, poiché ai fini dell’esecuzione essa non avrebbe alcuna utilità.

La Corte di Cassazione ha respinto tale impostazione difensiva, tracciando importanti principi, che qui di seguito si passano in rassegna:

  1. la dichiarazione del debitore deve essere comunque effettuata, anche in mancanza di ulteriori beni pignorabili;
  2. l’art. 388, comma 6° (oggi 8°), del codice penale prevede espressamente una sanzione penale nell’ipotesi di mancata collaborazione del debitore;
  3. l’invito può essere rivolto dall’ufficiale giudiziario in qualsiasi momento dell’esecuzione e può riguardare qualunque tipo di bene pignorabile;
  4. a sua volta, la dichiarazione che il debitore esecutato deve rendere ai sensi dell’art. 492, comma 5, cod. proc. civ. ricomprende tutti i crediti di cui lo stesso si ritenga titolare, a prescindere dalla effettiva sussistenza di un titolo e, a maggior ragione, da una eventuale futura contestazione del credito in sede giudiziale, ovvero dal suo accertamento con sentenza passata in giudicato;
  5. da tale quadro normativo si ricava l’intento del legislatore di evitare inutili e dannosi ritardi nella individuazione dei beni assoggettabili alla pretesa del creditore procedente e, al contempo, di favorire l’ assunzione di informazioni sulla consistenza del patrimonio del debitore;
  6. ne discende che tanto l’omessa cooperazione – diretta a rendere più arduo il compito del creditore procedente – quanto la mendace dichiarazione (di non possedere altri beni utilmente pignorabili, onde indurre il creditore ad abbandonare i propri sforzi), offendono l’ interesse di colui che ha promosso l’esecuzione e intende veder soddisfatto il proprio credito. Ai fini della consumazione del delitto, infatti, la norma incriminatrice non richiede che il creditore procedente abbia effettivamente subito un danno, sicchè la fattispecie è costruita dal legislatore quale reato di pericolo.

Ora, è appena il caso di rilevare come la suindicata fattispecie di reato – come espressamente previsto nell’art. 388, 8° comma, codice penale – si applichi anche all’amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice.

Ebbene, in tempi nei quali tanto si parla di compliance, sarebbe opportuno che – nei protocolli adottati da ogni società – si ponga particolare attenzione a tali fattispecie.

Invero, due sono i profili di criticità che si evidenziano:

Ove l’impresa e/o società – come pure avviene con una certa frequenza – abbia stabilito la propria sede presso lo studio di un professionista, andrà prestata particolare attenzione, atteso che, in precedenza, la Corte di Cassazione penale, sez. VI, con sentenza del 26/04/2012, n. 26060, aveva statuito che qualora il debitore sottoposto a procedimento esecutivo abbia omesso di rispondere nel prescritto termine di quindici giorni all’invito rivoltogli dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento infruttuoso a recarsi presso gli uffici competenti per indicare cose o beni pignorabili, ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 388, comma 6 (oggi 8), codice penale, non occorre che il predetto invito sia stato consegnato personalmente al debitore.

Va da sé la delicatezza delle mansioni svolte dal soggetto che, all’interno dello studio, riceva l’invito da parte dell’ufficiale giudiziario diretto al debitore, all’amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice.

Invero, nella suindicata sentenza, leggesi che:

  • ai fini della sussistenza del reato in esame non è in alcun modo prescritto che l’invito dell’Ufficiale giudiziario sia consegnato personalmente al debitore, ma occorre solo che si possa ragionevolmente ritenere che lo stesso sia stato posto a conoscenza dell’invito: interpretazione questa che trova una sistematica conferma nella previsione dell’art. 518 c.p.c., comma 5, per la quale, ove il debitore non sia presente in sede di pignoramento mobiliare, l’ingiunzione di cui all’art. 492 c.p.c. può essere rivolta alle persone indicate nell’art. 139 c.p.c. (fra cui rientrano le persone di famiglia);
  • nella specie, la consegna del plico recante l’invito, fatta dall’Ufficiale giudiziario alla madre dell’imputato presso la dimora di quest’ultimo in (OMISSIS), induce ragionevolmente ad escludere, in base all’il quod plerumque accidit, che la donna abbia omesso di rendere edotto il figlio di una tale, non certo ordinaria, consegna;

Ebbene, è appena il caso di rilevare come, nel caso di imprese e/o società, tra le persone indicate nel succitato art. 139 c.p.c. rientrano anche le persone addette all’ufficio o all’azienda: sicchè anche gli addetti allo studio professionale ove ha sede l’impresa e/o società sono legittimati a ricevere il suindicato invito.

Con tutte le intuibili conseguenze che ne potrebbero derivare, nell’ipotesi di mancata trasmissione di tale invito all’amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice.

II°

Un ulteriore aspetto, va evidenziato.

Nella sentenza in commento, viene operato un richiamo alla sentenza della Cassazione penale, sez. VI, 01/04/2015, n. 15915, la quale ha statuito che: Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 388, comma sesto, cod. pen., che sanziona la condotta del debitore il quale, invitato dall’ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione, è sufficiente anche l’omessa o falsa dichiarazione relativa ad un credito contestato.

Leggendo tale sentenza, si ricava il percorso argomentativo da cui è scaturita la condanna:

a) che la declaratoria che il debitore esecutato deve rendere ai sensi dell’art. 492 c.p.c., comma 5, ricomprende tutti i crediti di cui lo stesso si ritenga titolare, a prescindere dalla effettiva sussistenza di un titolo e, a maggior ragione, da una eventuale futura contestazione del credito in sede giudiziale, ovvero dal suo accertamento con sentenza passata in giudicato;

b) che, nel caso in esame, l’imputato si riteneva titolare di un credito di rilevante importo – pari alla somma di oltre Euro 24.000,00 – in forza di un assegno bancario, tanto da aver già richiesto ed ottenuto, qualche giorno prima della suddetta dichiarazione, un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, di pari importo, con la conseguente iscrizione di un’ipoteca sui beni di proprietà del su indicato debitore;

c) che, tuttavia, egli nulla ebbe a dichiarare all’Ufficiale giudiziario, sebbene questi, in sede di redazione del processo verbale ai sensi dell’art. 492 c.p.c., comma 5, lo avesse espressamente avvisato che l’omessa o falsa dichiarazione era punibile per effetto della su menzionata norma incriminatrice (al riguardo v. Sez. 6, n. 26060 del 26/04/2012, dep. 04/07/2012, Rv. 253230).

Ebbene, è evidente come non sia infrequente che un’impresa e/o società, anche di medie dimensioni, possa avere, al contempo, una serie di rapporti di debito e credito con riferimento ai quali pendano liti sia attive che passive.

Pertanto – una volta che il debitore, amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice abbia ricevuto l’invito dell’ufficiale giudiziario – andrà prestata particolare attenzione a dichiarare la sussistenza di tutti i beni e/o crediti, sia pure contestati, che l’impresa/società vanti nei confronti dei suoi creditori.

Ne deriva come una reticenza sul punto od anche una mera incompletezza, che non consenta al creditore pignorante di potere aggredire tali beni e/o crediti, comporterà un’imputazione per il suindicato reato.

 

L’Avv. Paolo Calabretta si è laureato con lode nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania nel 1988, e svolge l’attività di avvocato occupandosi, in prevalenza, di diritto civile, ed in particolare di diritto commerciale, fallimentare e societario e recupero crediti. E' altresì difensore di Enti Pubblici. Ha pubblicato articoli giuridici su varie riviste telematiche.