In Evidenza Investor, servicer e debt buyer NPL e crediti deteriorati

Banche di credito cooperativo e popolari, il punto di vista di Sergio Bommarito, Presidente di Fire.

Sergio Bommarito

ARTICOLO PUBLIREDAZIONALE

Banche di Credito Cooperativo e Popolari sono da tempo sotto la lente di BCE. Diverse sfide nascono dai cambiamenti normativi.

È tempo per tutte le banche italiane di adeguarsi alle recenti novità normative in tema di credito. Ma per le banche del territorio l’allineamento è più difficile da accogliere e da mettere a frutto.
Nate talvolta dall’input di gruppi o singoli imprenditori locali, l’essenza stessa di BCC e Popolari è quella di fornire sostegno allo sviluppo economico e sociale del territorio, soprattutto piccole e medie imprese, vero elemento trainante del nostro sistema Paese.
Gli aggiornamenti alla regolamentazione in materia di gestione del credito introdotti da BCE, benché recentemente rivisti ed “edulcorati” nelle tempistiche, rischiano di fatto di inasprire una contraddizione di sistema.

Come coniugare la vocazione di vicinanza e supporto a privati e aziende locali, con assetti organizzativi e di conseguenza, strutture di costi, capaci di assicurare compliance con i dettami dei regulator?

In seguito al processo di aggregazione, padre dei maxi poli ICCREA e Cassa Centrale Banche, le BCC attinenti agli stessi, ricadono ora nella classificazione di “Significant Institutions”. Al momento, nessun principio di proporzionalità in merito all’applicazione degli indirizzi normativi è previsto. Quello che invece è già a calendario per ottobre è l’Asset Quality Review, a cui dovranno sottoporsi, con obiettivi sfidanti in merito all’npl ratio.
La possibilità che il cambiamento abbia impatto negativo sulla capacità di erogare credito delle banche locali è elevata. E questo si traduce, in un paese bancocentrico come l’Italia, nella chiusura dei rubinetti di innovazione e digitalizzazione per le aziende, poco avvezze a ricorrere a strumenti quali il factoring. In questo segmento, lo spazio di opportunità per player fintech è davvero ampio, a meno che non sia il concetto stesso di banca a essere rivisto.

Ritiene dunque che la pressione competitiva degli operatori Fintech accentuerà il divario fra chi è preparato a cavalcare la digital transformation e chi la subirà? Cosa si può fare per sostenere le sorti delle banche tradizionali?

Sicuramente è molto più semplice creare una start-up Fintech piuttosto che trasformare una banca tradizionale. Se guardiamo alle Fintech companies che hanno avuto successo in tempi recenti nel settore, ci accorgiamo che sono tutte costole di banche tradizionali che però sono partite da zero. L’esperienza di una banca, combinata con l’intuizione di un singolo o di un gruppo in un determinato ambito, e soprattutto competenze innovative, difficili da impiantare velocemente in una banca tradizionale. Il gap di competenze non si colma in qualche mese.
E la banca ha dietro una struttura complessa. Si tratta di un modello organizzativo legato al territorio che è completamente diverso da quello Fintech, che invece non ha limiti territoriali. L’adeguamento sarebbe per forza di cose più lento, anche alla luce della burocrazia italiana.

Quali sono le principali criticità e quali le possibili soluzioni per la sopravvivenza, e perché no, il ritorno in auge, delle banche del territorio?

Le banche tradizionali, ma soprattutto le locali, possono intervenire a monte. Ad esempio, innovando le politiche di erogazione grazie a metodologie di valutazione che prevedano l’utilizzo sistematico della data science. Purtroppo, ancora oggi le banche per concedere credito ad una PMI, guardano i bilanci, che però restituiscono informazioni non più attuali, e le garanzie immobiliari, mentre alcune Fintech sono in grado di fare uno scoring della società con informazioni aggregate e non, aggiornate, provenienti dal web, ad esempio.
Occorre guardare al settore di appartenenza dell’azienda richiedente e alla sua capacità di generare reddito e rimborsare credito. Le garanzie immobiliari non sono una vera garanzia dato che per la liquidazione di un asset per vie giudiziali possono passare anche 10 anni. Senza considerare che il mercato immobiliare è crollato, soprattutto nei piccoli centri dove operano le banche locali, e che quest’ultime non devono, e non possono più, trasformarsi in società di gestione immobiliare.
Altro punto su cui è fondamentale intervenire è la gestione del credito. Il grado di consapevolezza del sistema sull’argomento è oggi molto più alto di qualche tempo fa, soprattutto in seguito alle indicazioni del regulator, che spingono ad adottare processi di Early Warning.
Le banche del territorio non possono sopportare il costo di strutture, processi e competenze adeguati per gestire il malato quando ha il raffreddore e fanno al momento solo ricorso all’extrema ratio legale quando la posizione è già in sofferenza. Ma a quel punto il malato è in rianimazione e le cure che potevano avere un senso prima, sono ormai inutili. Mettere in campo azioni fin dal primo giorno di ritardo o addirittura implementare sistemi di monitoraggio che permettano di prevedere l’insorgere della difficoltà ancor prima che il credito sia insoluto, possono innescare un processo virtuoso, in cui la riduzione dell’asimmetria informativa è incoraggiata e i diversi stakeholder coinvolti lavorano a soluzioni condivise e sostenibili.
Purtroppo, alcuni di questi concetti vengono ancora considerati pura fantascienza. Non è ancora abbastanza noto quanto cambierebbero gli scenari se si intervenisse nei primi 90 giorni di ritardo.

Quali gli assi della manica per le banche del territorio, in una situazione di marginalità ridotta al minimo?

Come detto si può intervenire sull’erogazione e sulla gestione del credito, sull’efficientamento della struttura di costi e sulla riduzione degli stock di npl. Ma abbiamo visto che non basta. È il concetto stesso di banca che è messo in discussione. La filiale si svuota di importanza, se pensiamo ai servizi transazionali, ma può conservarla per quelli consulenziali. Millennials e Generazione Z vorranno sempre più una banca leggera, a portata di click, che si faccia hub di servizi, che supporti nella gestione del bilancio personale. Lo stesso vale per le PMI. E mentre da un lato si può fare educazione finanziaria e ampliare il range di servizi, dall’altro si acquisiscono dati personali preziosi sulle abitudini di consumo, vera valuta di scambio del futuro. Pensiamo alla recente modifica della schermata iniziale di Facebook che, adeguandosi alle nuove direttive europee, non si pone più come strumento gratuito tout court, ma in qualche modo equipara la fornitura dei dati ad una forma di pagamento.
La conoscenza del cliente, per le banche del territorio che ne hanno fatto un punto di forza, presto potrebbe passare non solo più per una visita in filiale, ma per un patto informativo consapevole, trasparente, proficuo.

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