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Facebook lancia Libra: «Valuta digitale globale, aperta e stabile»

Per tutti è la criptovaluta di Facebook, anche se tecnicamente non lo è. Il gruppo di Mark Zuckerberg ha alzato finalmente il velo sul progetto che punta a creare una valuta digitale globale, fulcro di un nuovo ordine finanziario mondiale, più efficiente economico e accessibile. Al centro del sistema, operativo dal 2020, c’è Libra, una criptovaluta stabile basata su una nuova blockchain open source, la cui stabilità sarà supportata da una riserva di asset reali, composta da un mix di valute internazionali e titoli di debito a breve termine.

«Internet ha dato a tutti l’accesso all’informazione mondiale e democratizzato la comunicazione, ma per il denaro non è cambiato nulla», ha spiegato David Marcus, l’ex presidente di PayPal che ha guidato in gran segreto il team che a Menlo Park ha lavorato all’architettura del progetto Libra. Ancora oggi metà degli adulti nel mondo, soprattutto nei paesi in via di sviuluppo e tra le donne, è senza conto corrente. La blockchain offre grandi opportunità da questo punto di vista: «Sono sistemi decentralizzati, acessibili a livello globale, economici e sicuri», afferma il white paper diffuso ieri nella notte californiana, anche se queste caratteristiche sono state oscurate finora dall’altissima volatilità e dalla scarsa scalabilità delle criptovalute.

Per questo «il mondo ha bisogno di una valuta globale, nativa digitale, che integri le qualità delle migliori valute globali: stabilità, bassa inflazione, accettazione globale e fungibilità». Libra sarà quindi una stablecoin, una criptovaluta che offrirà una maggior stabilità grazie alla copertura di un paniere di «asset a bassa volatilità, come depositi bancari e titoli di Stato a breve termine denominati in valute di Banche centrali stabili e autorevoli». Le contrattazioni su Libra saranno affidate a un network di exchange che ne garantiranno la liquidità.

Facebook offrirà un primo strumento per sfruttare i servizi offerti da Libra. Una nuova divisione, Calibra, introdurrà infatti un wallet digitale – disponibile direttamente all’interno di Messenger e WhatsApp, ma anche attraverso un’apposita app – per la gestione dei pagamenti. In pratica Calibra permetterà a chiunque di trasferire denaro in qualsiasi parte del mondo all’istante, esattamente come si fa con un messaggio o una foto.

Lo stesso potranno fare anche gli altri partecipanti alla Libra Association, il consorzio di 28 aziende, associazioni non profit e istituzioni accademiche, che gestirà il sistema. Nello specifico saranno questi attori a gestire la riserva di copertura e la governance della blockchain su cui girerà Libra. Tra i “membri fondatori” figurano soggetti finanziari come Mastercard, Visa, Stripe e PayPal, operatori telecom come Vodafone e Iliad, business come Booking, Uber eBay e Spotify, accanto a venture capital del calibro di Andreessen Horowitz e Union Square Venures. Ci sono poi specialisti in blockchain come Coinbase e Xapo che potranno fare da exchange di Libra. Ognuno di questi attori – ma l’associazione è aperta a ulteriori adesioni – potrà costruire prodotti e servizi, alla stregua del wallet di Calibra, sulla piattaforma di Libra.

Ma Facebook sottolinea che a gestire il sistema è l’associazione, di cui il social network è solo uno degli attori, al pari degli altri, per spegnere sul nascere le polemiche sull’espansione del suo potere. I dati finanziari. è specificato, rimarranno distinti da quelli social e non saranno utilizzati se non dietro autorizzazione. La stessa blockchain ripropone un modello centralizzato, ben diverso da quello di bitcoin, anche se la presenza di più gestori punta a garantire una maggiore pluralità. Ma il white paper precisa che nell’arco di cinque anni saranno trovate le soluzioni adeguate per ricalcare uno schema davvero decentralizzato. Restano aperti molti nodi legati proprio alla reale decentralizzazione, così come alla sicurezza e al meccanismo di consenso della blockchain. Ma il segnale lanciato da Facebook è destinato a scuotere il sistema finanziario globale.


Fonte: Il Sole 24 Ore