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Acquisti superiori a 3 mila , via libera all’uso dei bitcoin

Possibile, anche in Italia, fare acquisti in bitcoin per somme superiori a 3 mila euro senza il rischio di inciampare nelle norme antiriciclaggio. In questa primavera-estate si è assistito a un maldestro tentativo di applicazione delle regole fiscali, studiate per le valute tradizionali e applicate a un mondo virtuale solo apparentemente simile alle monete tradizionali. Tuttavia l’intera economia delle criptovalute va avanti e i traders continuano a generare utili, nonostante tutto. Anche in Italia si rilevano molti neo-milionari che hanno scommesso e vinto sull’incremento di valore della valuta virtuale. Tuttavia permangono le incertezze sulla tassazione e soprattutto sulla questione dell’antiriciclaggio (provenienza dei fondi) e dell’autoriciclaggio (uso di fondi illeciti).Spendere i bitcoin. Nelle more di risolvere questi problemi, molti si chiedono se sia possibile, nell’immediato, spendere direttamente bitcoin acquistando beni e servizi, senza passare da una preventiva conversione in euro.

A tutt’oggi in Italia sono veramente pochi i soggetti economici disposti ad accettare criptovaluta in luogo degli Euro. Infatti, al di fuori della zona di Rovereto, la Btc valley d’Italia, risulta che il fenomeno è ancora relegato a pochi operatori.

La notizia che ha fatto più scalpore è stata una compravendita immobiliare operata da un soggetto persona fisica (di origine cinese) per acquistare un’abitazione a Torino, spendendo bitcoin.

Sempre nel settore immobiliare, risulta che a Roma una società di costruzioni edili ha messo in pratica tre vendite immobiliari. In questo caso il costruttore di Roma ha espressamente pubblicizzato la vendita degli appartamenti con la possibilità di pagare il prezzo in bitcoin, rendendo la vendita attraente per i traders che hanno bitcoin in surplus.

Ma com’è possibile operare una compravendita, con tanto di notaio, senza utilizzare la moneta corrente? L’utilizzo della moneta in corso d’uso (l’euro), nella compravendita, ha effetto liberatorio, libera cioè il debitore da qualsiasi rivalsa, mentre ciò non si può dire della valuta virtuale (non ancora), che non è considerata valuta a tutti gli effetti.

Pertanto, la forma giuridica che più si adatta alla fattispecie, che possa replicare un effetto liberatorio, è il baratto (o permuta) di beni.

Per quanto riguarda le vendite immobiliari in cambio di bitcoin, risulta dunque che il notaio rogante non ha «liberato» la parte acquirente dall’obbligazione di pagare, in quanto in atto è stato affermato che il pagamento sarebbe avvenuto in un momento successivo, senza specificare le modalità ma solo i tempi. In tal modo si è permesso alle parti di trasformare la compravendita in un baratto vero e proprio dove una delle due attività barattate è rappresentato da un wallet pieno di bitcoin sonanti, e utilizzando così lo strumento giuridico della datio in solutum (prestazione in luogo dell’adempimento) prevista dal codice civile all’art. 1197.

Se dal punto di vista pratico la questione sembra risolta, da un punto di vista giuridico non lo è affatto.

L’art. 49 del dlgs n. 231/2007 vieta il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente superiore a 3 mila euro.

Nei sistemi di pagamento basati sulle criptovalute, l’assenza di intermediari soggetti alle norme antiriciclaggio rischia di dar luogo a operazioni di riciclaggio e finanziamento al terrorismo. Nel mondo reale, gli interventi di contrasto alle transazioni illecite spesso si sviluppano con indagini di polizia giudiziaria conseguenti, sia alle segnalazioni di operazioni sospette inoltrate da intermediari e operatori finanziari, che ai controlli sulle movimentazioni di valuta.

Nel caso delle valute virtuali, essendo queste ancora non di chiara collocazione nello scenario economico, sfuggirebbero parzialmente (il condizionale è d’obbligo) alle limitazioni di cui all’art. 49, nel momento in cui la valuta virtuale fosse interpretata come un bene e non come una moneta con tutti gli effetti liberatori che una comune moneta ha. Infatti attualmente la definizione corrente definisce la valuta virtuale come «la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica e non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale; essa è utilizzata come mezzo di scambio (baratto, ndr) per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente».

Pertanto, nel momento in cui si operasse un baratto bene/bitcoin, il cedente opererebbe uno scambio del proprio bene immobile con un equivalente bene (il bitcoin) rappresentativo di un determinato valore ed evitando di incorrere nelle limitazioni del citato art. 49.

Chiaramente la volontà di attuare un baratto deve essere condivisa da entrambi gli operatori della transazione, proprio in considerazione dello scenario legislativo poco chiaro. Appare scontato dunque che tale operatività non potrà mai essere industrializzata ed applicata per vendite diffuse in un processo produttivo: vi sono troppi rischi da assumere.


Autore: Maurizio Dattilo, Stefania Barsalini
Fonte:

Italia Oggi

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