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Stress test, gli ultimi dati in Bce: le banche si allineano ai «diktat»

Per le banche europee impegnate negli stress test sta suonando la campanella dell’ultimo giro. Domani, a quanto risulta a Il Sole 24 Ore, scadono infatti i termini per l’invio finale alla Banca centrale europea delle simulazioni che mettono alla prova la tenuta dei bilanci bancari in due scenari, uno normale e uno avverso, nel triennio al 2018-2020.
Per gli esiti si dovrà attendere fino al 2 novembre, quando saranno resi noti i risultati degli esercizi di 37 banche europee (tra queste, ci sono le italiane Intesa Sanpaolo, UniCredit, BancoBpm e Ubi). Ma con la giornata di domani si chiude di fatto il lungo processo di dialogo tra banche e Vigilanza avviato lo scorso maggio. Un’interlocuzione (secondo il meccanismo noto come “comply or explain”) che in Italia si è tradotta per alcune banche anche in un duello acceso, con una richiesta di adeguamento ai benchmark previsti nel quadro di una sostanziale armonizzazione dei risultati a livello europeo. Ora, da qua alle prossime settimane, si attendono i riscontri Bce, che non lasceranno spazio a ulteriori controrisposte.
Ciononostante, tra gli addetti ai lavori si respira un sentiment relativamente positivo: ovvero quello di un esercizio che – pur con qualche eccezione – nel complesso dovrebbe rivelarsi lievemente meno severo di quello visto due anni fa, o sostanzialmente in linea con il precedente. A contribuire al risultato sarebbe anche il fatto che gli esercizi sono effettuati sui bilanci di fine 2017, ovvero in fase di uscita dal picco della crisi economica, e che i criteri immaginati per lo scenario avverso sarebbero comunque meno drammatici di quelli imposti nel 2016.
Nel corso delle settimane, il confronto tra banche italiane e Francoforte si è focalizzato sulle metodologie applicate e di come esse sono state calate dalle singole banche (cui tocca l’implementazione pratica degli esercizi stessi ) su redditività, capitale e liquidità nei loro bilanci. In particolare, le contestazioni degli ispettori si sarebbero concentrate sulle risultanze dei test relativi al rischio di credito, aspetto su cui i modelli Eba imporrebbero “benchmark” molto stringenti per il mercato italiano (soprattutto in termini delle cosiddette pd e lgd dei modelli interni). Tutto è legato ai maxi-accantonamenti varati nel primo trimestre dagli istituti italiani e alle cessioni messe in cantiere nel quadro dell’introduzione dell’Ifrs9, che hanno fatto percepire come più rischioso l’intero portafoglio crediti. Altro nodo invece riguarda le simulazioni degli scenari di crisi sul margine di interesse. Si tratta di un punto di particolare rilievo per gli istituti domestici, specialmente di natura commerciale, che nelle ipotesi Eba non avrebbero la possibilità di reagire di fronte a un rialzo dei costi di raccolta (peraltro in atto) “ribaltandoli” per intero sugli impieghi.
Gli stress test condotti da Bce con l’Eba riguardano le banche che rappresentano il 70% del totale delle attività bancarie dell’area dell’euro. Oltre alle 37 banche europee, la Bce condurrà il proprio test (senza renderne noti gli esiti) anche sulle altre banche significative. In questo caso, nel campione ci sono Bper, Mediobanca, Carige e Iccrea. Nessuna prova per Mps, impegnata nel piano di ristrutturazione concordato con la Commissione. Va ricordato che gli stress test 2018 non prevedono il superamento di alcuna soglia di capitale. Eventuali richieste della Vigilanza alle banche significative confluiranno nei processi Srep, e in particolare nella guidance di capitale di secondo pilastro.


Autore: Luca Davi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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