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Il nodo Npl e la redditività delle banche, un doppio stress test

Non è solo una questione di “poche mele marce” e neppure di eredità dei tanti Npl lasciati dalla crisi nei bilanci delle banche. Il sistema è affetto da una fragilità di fondo che lo rende vulnerabile a eventuali nuovi choc, una fragilità dovuta alla bassa redditività di molti istituti. L’analisi (non nuova) è stata rilanciata ieri pomeriggio con la presentazione di uno studio pubblicato sull’ultimo numero di “Moneta e credito” realizzato da due economisti dell’Università di Siena, Elisabetta Montanaro e Mario Tonveronachi.

Bassa redditività per molte banche
Secondo gli autori la redditività di molte banche è inferiore ai minimi necessari per considerarle “vitali”, capaci cioè di sostenere l’economia e remunerare il capitale. Lo studio è stato presentato nella sala del Refettorio della Camera dei Deputati, a pochi passi dalle stanze di San Macuto dove, fino a un paio di mesi fa, sono andate in onda le rumorose e ormai quasi dimenticate sedute della Commissione d’inchiesta sulle crisi dei sette istituti che hanno richiesto un intervento di salvataggio pubblico. Presenti all’evento economisti di varia estrazione, il numero due della Vigilanza di Bankitalia, Paolo Angelini, il presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, Salvatore Maccarone, il responsabile della direzione Credito dell’Antitrust Vito Meli, e Francesco Masala dell’Abi.

Nel lavoro i due economisti hanno presentano i risultati di un doppio stress test sui crediti deteriorati di un campione di banche significativo e sulla capacità di una banca di generare un risultato di gestione coerente con un obiettivo dato di redditività. Le banche che non hanno superato i due test rappresentano il 18% del totale attivo e «sono banche senza futuro, per le quali non vale la pena proporre una ricapitalizzazione precauzionale» ha spiegato Tonveronachi. Lo studio afferma che «limitarsi a risolvere il problema dei crediti deteriorati, come oggi si tende a suggerire, non è sufficiente a superare le vulnerabilità strutturali delle banche». Va cambiato il modello di business ma anche l’impianto regolamentare e di vigilanza: «chiedere più capitale è controproducente. il capitale nel lungo periodo viene dalla redditività, se questa non c’è abbiamo un grosso problema».

Il doppio stress test
Il primo stress test realizzato è diverso da quello dell’Eba, impostato su scenari macroeconomici avversi. Sotto la lente sono finiti 410 banche commerciali e di credito cooperativo. Si prevede l’ipotesi che la Vigilanza possa imporre la cancellazione dei crediti deteriorati in eccesso rispetto a un valore obiettivo, ma anche consentire una parziale e temporanea riduzione dei requisiti di capitale come anticipazione dei futuri guadagni per recuperi, secondo una aliquota largamente prudenziale. L’esercizio consente di calcolare l’impatto della pulizia dei bilanci sui “capital ratios”, utilizzando come fattori di aggiustamento le medie europee dell’Npl ratio e del rapporto di copertura. Il risultato dell’esercizio è che 78 banche non passano lo stress test, 52 sono Bcc. Il lavoro non ha considerato Mps e le banche Venete. Il secondo test è stato realizzato per verificare se una volta eliminato il carico degli Npl vengano risolti i profili di fragilità delle banche. Per l’intero campione 274 banche (il 67%) registrano un valore del risultato di gestione in rapporto al totale attivo inferiore al valore obiettivo e 137 (33,4%) non passano il test di vitalità, dimostrando quanto sia diffuso il problema dell’eccesso di costi.

Il punto di vista di Bankitalia
Nella discussione seguita alla presentazione Paolo Angelini ha spiegato che non c’è un’evidenza certa che confermi la causalità diretta tra elevati livelli di Npl nei bilanci e ridotta attività di credito all’economia. Gli Npl vanno smaltiti ma non svenduti in blocco perché altrimenti si determinerebbero squilibri sul capitale. Inoltre bisognerebbe considerare altri asset che sono nei bilanci delle banche europee e che sono “opachi e illiquidi” come gli Npl. Si tratta dei derivati strutturati di livello 2 e livello 3 che hanno un fair value complessivo di 6.800 miliardi di euro, contro i 400 miliardi di Npl. Angelini ha condiviso il tema della bassa redditività delle banche italiane, pur sollevando solide obiezioni sul confronto, fatto dai due economisti senesi, con le banche statunitensi.

Il percorso da fare, ha spiegato Angelini, è nella direzione del completamento dell’Unione bancaria e dell’affinamento della “regulation” sulla gestione degli Npl. Il riferimento indiretto è per gli attesi pronunciamenti della Commissione europea del Ssm entro metà marzo. Sullo stock delle sofferenze è stata poi ribadito l’effetto della doppia recessione, mentre sulle prospettive di valorizzazione di questi asset deteriorati pesano anche i tempi per le procedure di recupero crediti. Citando classifiche della Banca Mondiale, Angelini ha ricordato che «in Italia occorrono 1.100 giorni per risolvere una controversia in tribunale, contro una media europea di 400 giorni». Tempi triplicati che fanno salire di tre volte il peso degli Npl sui bilanci.


Autore: Davide Colombo
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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