Dalla Redazione NPL e crediti deteriorati

NPL: un mondo in evoluzione

NPL: un mondo in evoluzione

a cura di Dino Crivellari

Nel corso di poco più di un anno sono accadute molte cose:

1) il legislatore ha adottato norme per riordinare il sistema delle garanzie e favorire il mercato delle cessioni di crediti deteriorati delle banche. Risultati modesti: la banca dati delle esecuzioni non c’è ancora; le banche non utilizzano né il patto marciano né il pegno non possessorio.

2) le quattro banche risolte nel 2015 sono passate di mano con oneri a carico dell’Erario. I loro bad loans sono in attesa di collocazione definitiva.

3) Unicredit ha avviato una mega cessione ad un prezzo talmente contenuto che Banca d’Italia si è sentita in dovere di precisare, in un documento ufficiale, che quel prezzo non è benchmark.

4) Le due banche venete, finalmente in liquidazione coatta amministrativa, hanno cambiato padrone e lo Stato tramite la Sga si è fatto carico dei loro crediti deteriorati.

5) BCE ha pubblicato le proprie linee guida che, pur nella loro essenzialità, hanno finalmente trasferito la responsabilità del problema dei crediti deteriorati sui consigli di amministrazione. Forte ed impegnativa novità.

6) Con la “manovrina” è stata integrata la legge 130/ 99 sulle cartolarizzazioni: ora le banche potranno cedere anche i crediti in ristrutturazione.

7) Ci si dà un gran da fare intorno alle conseguenze dell’introduzione dell’ IFRS9 in sostituzione dello IAS 39. Ci si aspetta un incremento delle svalutazioni degli NPLs. Ma anche degli NPE.

8) I fondi di investimento speculativi hanno fatto shopping di società di recupero nella prospettiva di una maggiore possibilità di acquistare NPLs in Italia.

9) Banca d’Italia si è sentita in dovere di sostenere che le banche italiane sono state prudenti negli accantonamenti (60%) ed efficienti nei recuperi (43% escluse le cessioni), asserendo che la via delle cessioni va percorsa con estrema cautela perché il mercato non è efficiente ed è afflitto dall’oligopolio dei fondi speculativi.

10) Atlante, nata per contrastare i prezzi dei fondi (frutto di attualizzazioni al 15/25% dei flussi di cassa), dopo essere stata distratta dall’intervento sulle venete, torna in pista sugli NPLs offrendo il 22% per quelli MPS, valutati 10 punti percentuali in più solo un anno fa.

11) L’andamento degli NPE non sale più come gli negli anni passati, anzi dimostra un certo rallentamento. Su questo ho alcuni dubbi: il dato statistico è influenzato dalla mega cessione di Unicredit e da altre modeste operazioni concluse in questi mesi. Troppo presto per gioire. Il problema sociale ed economico del paese non si risolve perché i debitori passano da una banca ad un fondo.

12) 114 banche hanno il Texas Ratio maggiore di 100, quindi sono tecnicamente insolventi.

Da questo elenco sommario e parziale di “novità “ si trae l’impressione che ci sia molto dinamismo in questo mercato e che questo faccia ben sperare per evoluzioni complessivamente positive. Tutto  quanto precede ha impatti significativi anche per gli operatori del recupero, ma a mio avviso quello che peserà di più, e quindi va valutato, saranno le conseguenze della applicazione delle linee guida BCE sugli NPLs e gli effetti dell’introduzione dell’IFRS 9.

Ormai tutti sappiamo che le linee guida BCE hanno alcuni punti fermi molto significativi:

  • Le banche dovranno a breve articolare un programma di smaltimento degli NPE secondo strategie “ambiziose e realistiche”.
  • La responsabilità è totalmente in capo ai consigli di amministrazione fino ad un livello non banale di dettaglio.
  • La composizione qualiquantitativa dei consigli di amministrazione (Fit and Proper) sarà valutata secondo criteri di proporzionalità in funzione del peso degli NPLs della banca.
  • Tutte le procedure ed il modello organizzativo dovranno essere misurati in termini di efficacia ed efficienza on going : ciò che non è misurabile, non è controllabile, non è migliorabile.
  • Rigida separazione tra erogatori, controllori e recuperatori.
  • In funzione delle situazioni di fatto , le banche dovranno adottare strategie specifiche e diversificate: gestione interna, outsourcing, cessioni. O un mix di queste.
  • Grande importanza alla qualità del personale e ai relativi sistemi incentivanti.
  • Le cessioni e le cartolarizzazioni richiedono cautela.
  • Dati e documentazioni sono un tema estremamente sensibile.

A dire il vero, le 145 pagine di suggerimenti della BCE non dicono nulla di straordinario. Un profano che avesse voglia di leggerle penserebbe di essere di fronte ad un buon manuale di tecnica bancaria.

Ed in effetti i suggerimenti (che poi proprio tali non sono perché si dovrà rispondere della loro mancata applicazione) sono basici.

Puntuali, numerosi, dettagliati, ma basici: appaiono come uno strumentario ordinario del buon banchiere. Il fatto è però che da vent’anni a questa parte la maggior parte delle banche non adotta più quei modelli e quelle procedure perché il credito deteriorato era considerato, fino non molti anni fa, un male necessario che, essendo produttore di costi e poche soddisfazioni rispetto al business, non doveva essere il primo pensiero del management. All’insegna del “vendere, vendere, vendere “ le banche hanno dimenticato che vendere un contratto di credito significa comprare il debito di qualcuno, cioè incorporare il suo rischio. Ne vediamo ora le conseguenze.

Quante banche hanno ancora la gestione dei crediti deteriorati sotto il CRO? Quasi tutte. Quante banche hanno destinato le risorse migliori al recupero dei crediti? Quante hanno sistemi incentivanti adeguati alla gravità del problema? Quante hanno investito sul “data remediation”? Quante si sono dotate di strumenti evolutivi di tracciamento della gestione e di reportistica parlante? Quanti Cda di banche si sono occupati di verificare l’efficienza dei modelli e delle procedure? Pochissime. 

Da ora in poi tutto dovrà cambiare e non c’è molto tempo.

A questa non trascurabile novità si aggiunge lo IFRS 9 in sostituzione dello IAS 39, che, operando sul dato storico delle perdite, si è rivelato fuorviante in un periodo di crisi dove il deterioramento dei crediti è stato repentino, imprevisto, e massivo.

Con IFRS 9 si pretende che le valutazioni siano puntuali e basate sul recupero atteso, non sulla statistica passata. Ne vedremo presto gli effetti, ma la conseguenza più probabile è che il NBV sarà più vicino ai prezzi di mercato degli NPLs. Questo potrebbe favorire le cessioni, ma non risolve, anzi accentua in prospettiva, i problemi di conto economico e di patrimonio di vigilanza delle banche (sarà interessante osservare anche quali effetti si avranno sulle Bad banks sottoposte a vigilanza).

Un fattore positivo potrebbe essere costituito dalla maggiore selettività nelle erogazioni, ma anche qui ci sono rischi di ulteriore disintermediazione delle banche e di difficoltà di reperimento di finanza da parte delle nostre imprese notoriamente sottocapitalizzate.

In sintesi, la combinazione di linee guida BCE e adozione di IFRS 9 rappresentano una grande occasione per gli operatori del recupero, se non altro perché molti di loro si sono già dovuti attrezzare per competere e conquistare fette di mercato, adottando modelli organizzativi, processi, procedure e supporti informatici che rispondono a molte delle esigenze indicate dalla BCE.  E tenendo conto che la Banca d’Italia si appresta ad estendere anche alle banche minori le linee guida BCE, il mercato dell’outsourcing dovrebbe beneficiarne.

Gli elementi dirimenti  saranno due:

A) Quanto sarà dinamico il mercato delle cessioni rispetto all’orientamento alla gestione interna delle banche.

B) quanto saranno in grado gli outsourcer  di fronteggiare una domanda sempre più esigente, non solo in termini di performance, ma anche e forse soprattutto,  in termini di qualità del servizio.

Rispetto al punto A , è giusto notare che l’ardore per le cessioni è un po’ in calo.

Cedere vuol dire svendere, svendere vuol dire perdere e quindi ricapitalizzare. Non sarà una strada per tutti.

D’altra parte anche le la Politica che, fino a qualche tempo fa, strizzava l’occhio ai fondi vedendoli come   il cavaliere bianco che avrebbe risolto tutti i problemi, oggi comincia ad avere dubbi. I tre progetti di legge sul cosiddetto “giubileo bancario”   potrebbero andare in discussione nei prossimi mesi e se fossero approvati potrebbero contribuire in modo consistente alla riduzione dello stock di sofferenze ante 2017.

Legali ed operatori del recupero, contrariamente a quanto si possa pensare, non sarebbero sfavoriti perché le transazioni auspicate delle varie proposte di legge dovranno essere “operate“ da specialisti del “non performing” ed in un tempo relativamente breve. Quindi tutto lavoro da portare a casa.

Ma in ogni caso la tendenza alla gestione interna da parte delle banche, suffragata dai dati Banca d’Italia e favorita dai prezzi bassi delle cessioni, sembra diffondersi.

Non è un caso che l’unica , ormai, grande banca tutta italiana o quasi, Intesa, abbia abbandonato la strada della cogestione con i fondi e abbia riportato all’interno, ma in una struttura fortemente autonoma e responsabilizzata, la gestione delle NPE. Da quel che si sa, funziona anche bene e produce risultati. Anche altre banche stanno seguendo questo modello.

Sotto il profilo storico, è curioso osservare che Capitalia ed Intesa, all’inizio degli anni 2000, avevano imboccato la strada della cogestione con i fondi creando partnership dedicate. Nello stesso periodo, Unicredit invece si creava la sua entità specializzata sottoposta alla responsabilità del COO e non del CRO, costituita in banca autonoma, ottenendo, dicono le cronache, ottimi risultati.

A 10 anni di distanza circa, le due banche italiane sono tornate sui loro passi invertendo le posizioni. Unicredit ha passato la responsabilità del recupero sotto il CRO ed ha venduto ai fondi, di cui è comunque partner funzionale di fatto, la sua Bad bank. Contemporaneamente Intesa ha abbandonato la partnership con i fondi cedendo loro la propria partecipazione nel servicer e sostanzialmente riadottando il modello Unicredit, che aveva abbandonato all’inizio degli anni 2000 conferendo in Italfondiario la sua bad bank Intesa   gestione crediti. Vedremo nel tempo chi l’avrà vista giusta.

Fatto sta che proprio in applicazione delle linee guida BCE, le banche non al lumicino  rafforzeranno la gestione interna e con essa probabilmente aumenteranno il ricorso all’outsourcing. Questo fenomeno a mio modo di vedere sarà ancora più accentuato per le banche medie e, a riforma attuata, anche per le BCC.

C’è da osservare infatti che non tutte le banche potranno permettersi i non irrilevanti investimenti per rendere efficiente, giusta le prescrizioni di BCE,  il nuovo modello organizzativo per i recuperi. È molto probabile quindi che la domanda di outsourcing potrebbe aumentare, ma sarà molto selettiva.

Entra infatti in gioco il punto B). Quegli investimenti che pesano per le banche li dovranno aver fatti, in parte non irrilevante, gli outsourcer, perché il modello organizzativo della banca dovrà comunque essere compliant con le linee guida BCE incorporando virtualmente l’outsourcer e la sua qualità. Se si scorrono le pagine delle linee guida, ci si rende conto facilmente su cosa debbono intervenire gli outsourcer per migliorare la qualità dei servizi offerti.

La misurabilità di tutto è essenziale: la mandante avrà bisogno non solo di reportistica granulare e complessiva, molto profonda ed articolata, ma vorrà dall’outsourcer anche la tracciabilità e la misurabilità on going, step by step, pratica per pratica.

Le strategie, della cui responsabilità è ora investito il Cda, dovranno essere supportate da dati ed informazioni su cluster ed aggregati di varia caratura che consentano di assumere decisioni evolutive, correzioni di rotta, scelta di modelli basati su informazioni plausibili e di elevata qualità.

Un outsourcer che possa offrire questo è vincente, specie se è in grado di illuminare il Cda anche sull’andamento dei costi e dei tempi di recupero, monitorati e gestiti; non subiti.

Ma ancor prima c’è un servizio preliminare che le banche dovranno “acquistare “: data remediation.

Le banche italiane, molte delle quali sono la risultante di decine di fusioni e incorporazione di altre banche che avevano propri data base e propri sistemi di archiviazione documentale, hanno un ritardo storico su queste funzioni.

Ma anche i loro sistemi operativi sono basati sulla contabilità, non sulla gestione. Gli sforzi fatti in questi anni da alcuni operatori del settore sono encomiabili, ma la maggior parte delle banche restano  molto indietro.  Eppure dovranno attrezzarsi e risolvere il problema nel giro di mesi, non di anni. Ecco che allora gli outsourcer possono cogliere una grande opportunità.

Ormai offrirsi solo per gestire, anche efficacemente, gli NPLs può essere un limite. Bisogna offrire anche il resto.

È evidente che non tutti gli operatori del recupero hanno spalle sufficientemente larghe da potersi dotare per l’offerta di questi servizi aggiuntivi, ma a livello associativo e di una logica trasversale, potrebbe valere la pena interrogarsi sulla fattibilità.

È bene fare un’osservazione. Ormai i grandi servicer non sono più così “ indipendenti “. Molti sono stati acquistati da fondi, altri lo saranno, quindi appartengono a player del mercato delle cessioni che, come già successo, dovranno comprare per forza portafogli per alimentare i flussi di lavoro delle piattaforme acquistate.

Contemporaneamente diventa controintuitivo che le banche conferiscano mandati a servicer di proprietà di fondi, alterando così trasparenza e competitività nel mercato delle cessioni. Eppure lo fanno.

I servicer effettivamente indipendenti dovrebbero sfruttare questa anomalia, ma debbono crescere di dimensione per supportare la maggior qualità del servizio di cui le banche hanno bisogno. Valutare e ipotizzare aggregazioni  e crescita orizzontale è ormai una necessità.

Collabora con Credit Village con articoli inerenti il mercato degli Npl, il sistema bancario, normativa/regolamentazione