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Ecco le lettere tra Ue e Bce sull’aumento di Mps

Quando, il 26 dicembre, la Banca Centrale Europea aveva comunicato che il fabbisogno di capitale di Mps era salito da 5 a 8,8 miliardi di euro, qualcuno al Ministero del Tesoro – colto alla sprovvista – meditò di “impugnare” l’amara sentenza. Poi, per ragioni tecniche e politiche, si ritornò a più miti consigli.

Sta di fatto che a oltre due mesi di distanza c’è qualcun altro che ha voluto usare la lente d’ingrandimento sulla richiesta di Francoforte: è la Commissione europea, che – secondo quanto raccolto da Il Sole 24 Ore da quattro diverse fonti vicine al dossier – ha chiesto e ottenuto chiarimenti dalla Vigilanza unica guidata da Danièle Nouy. In uno scambio di lettere di cui il Sole è venuto a conoscenza, Bruxelles ha richiesto informazioni dettagliate sul alcuni aspetti patrimoniali e contabili riguardanti l’istituto. In particolare, la Dg Competition avrebbe chiesto anzitutto indicazioni relative alla capacità della banca di essere solvibile in prospettiva. Nella stessa lettera, la Commissione avrebbe domandato dettagli sul metodo con cui Bce è arrivata a definire l’ammanco di capitale. Inoltre, la Dg Competition avrebbe sollecitato Bce nell’indicare con chiarezza le perdite in corso e attese della banca.

La risposta di Francoforte
Alle richieste di Bruxelles, Francoforte avrebbe risposto puntualmente in una lettera inviata a stretto giro, tra gennaio e febbraio scorsi. A dicembre l’Ssm aveva confermato la necessità dell’aumento di capitale da 8,8 miliardi. Resta da capire se alla luce del nuovo piano industriale la cifra verrà confermata.Interpellata sul tema, la Commissione Ue non ha voluto commentare le indiscrezioni. Tuttavia un portavoce ieri ha confermato che la «Commissione è stata in contatto» con la Bce con cui «ha un’ottima collaborazione». Del resto, «al fine di prendere una decisione rispetto all’intervento previsto» in Mps la Commissione europea «deve valutare se sono soddisfatte le condizioni stabilite nella direttiva» sulla risoluzione delle crisi bancarie Ue, conosciuta come Brrd. Ecco perchè ai «fini della presente valutazione», seppur nel rispetto della «distinzione» dei ruoli – la Bce in qualità di supervisore bancario e la Commissione nel ruolo di garante delle norme comunitarie, in particolare sugli aiuti di Stato -, Bruxelles ha chiesto di avere il quadro più dettagliato possibile sul fabbisogno (attuale e futuro) della banca.

Focus sul piano industriale
Ora che l’asticella della ricapitalizzazione è stata confermata, l’attenzione di Bruxelles si è spostata sulla revisione del piano industriale. A tal proposito, a quanto risulta al Sole 24 Ore, il negoziato sarebbe tutt’altro che facile. Ufficialmente la Commissione fa sapere che «continua a lavorare in modo costruttivo con le autorità italiane su un piano di ristrutturazione per Mps, in linea con le norme Ue». Dietro le dichiarazioni ufficiali, tuttavia, emerge uno scenario di ben altro tono. Bruxelles, in particolare, avrebbe infatti posto una serie di condizioni per autorizzare l’utilizzo degli aiuti pubblici. A partire da un serio programma relativo alla cessione di crediti e di asset, e di rigida revisione dei costi operativi. Quale sarà il punto di caduta delle trattative tra Ue e Mef, sul piano come sul capitale, lo si capirà nei prossimi mesi, visto che il confronto è destinato a protrarsi.

La maxi-cessione di Npl
Certo è che il team guidato dal ceo Marco Morelli e dal cfo Francesco Mele, insieme agli advisor Lazard, Mediobanca, Roland Berger, e McKinsey, dal punto di vista delle iniziative di ristrutturazione e rilancio avrebbero in mente numeri vicini a quelli del piano di mercato presentato a fine ottobre, con le 2.600 uscite anticipate, la chiusura di 500 filiali e l’obiettivo di un cost/incom e al 54,5% nel 2019, uno degli elementi che più stanno a cuore alla Commissione europea. Alla Dg Comp spetta il compito di valutare anzitutto l’appetibilità di mercato della banca, condizione essenziale per la ri-privatizzazione. Ma a Siena sanno di dover rispettare altri tre paletti: la continuità aziendale, il mantenimento al di sopra delle soglie minime di capitale individuate dalla Bce ma anche l’impossibilità di utilizzare risorse pubbliche per coprire perdite certe e prevedibili derivanti dalle rettifiche sui crediti, come anticipato da Il Sole lo scorso 25 febbraio. Non è una questione da poco, visto che ne va del piano di dismissione degli Npl, una maxi-cessione in più tranche che la banca intende chiudere entro la fine del 2017 e che rappresenta il cuore del piano di rilancio. Per coprire le svalutazioni, il Monte sa di poter contare sul patrimonio netto: erano 9 miliardi, scesi a circa 6 dopo le perdite del 2016. Ci sono poi i proventi della conversione delle obbligazioni, ovvero i 2,2 miliardi degli istituzionali, a cui potrebbero aggiungersi gli altri 2 miliardi in mano ai risparmiatori che saranno comunque ristorati dallo Stato. Restano poi i proventi di cessioni certe, ovvero i 520 milioni in arrivo grazie all’accordo firmato il 3 febbraio con Icbpi per la cessione delle attività riconducibili al business del merchant acquiring.

Il timore che la vigilanza Bce alzi l’asticella
In totale, fanno 8,5-10,5 miliardi a disposizione per gli accantonamenti sui crediti, una cifra che a Siena si riterrebbe sufficiente per la pulizia generale degli Npl, sempre che – e non è scontato – non cambino ancora i numeri e le condizioni per l’operazione. Tornando alla questione dell’aumento, va sottolineato che per lungo tempo i rapporti tra Bruxelles e Bce sono apparsi tesi. Se da parte sua Bruxelles predilige interventi soft sul capitale, Francoforte ragiona secondo il mantra della solidità. Peraltro, sul mercato c’è chi teme che Bce possa addirittura alzare ulteriormente l’asticella: l’ispezione sul portafoglio crediti – che darà i suoi esiti alla fine del primo semestre – potrebbe infatti allargare il perimetro delle posizioni in sofferenza (con conseguenti necessità extra di capitale per le svalutazioni), mentre c’è sempre in ballo la sterilizzazione degli impatti delle cessioni dei crediti deteriorati sui modelli interni, una deroga concessa nel 2016 (ma poi scaduta) che da sola vale altri due miliardi di capitale. Sul mercato, come a Siena, c’è fiducia sul fatto che il waiver venga riconfermato. Ma è chiaro che ogni nuova richiesta fatta dalle banche a Francoforte rappresenta un nuova partita tutta da giocare.


Autore: Luca Davi, Marco Ferrando
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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