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Per le quattro «good banks» il conto ormai supera i 5 miliardi

I conti, evidentemente, si faranno alla fine. Quando la Rev avrà ceduto sul mercato i 10,3 miliardi di Npl che ha in pancia -con auspicata plusvalenza – e quando l’Autorità di risoluzione (cioè Banca d’Italia) tirerà definitivamente le somme. Ma a 15 mesi dal salvataggio (che per certi aspetti è stato un fallimento pilotato) di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti, gli oneri complessivi sono stimabili al di sopra dei 5 miliardi. Una cifra ben superiore a quanto speso a fine anni ’90 per il salvataggio del Banco di Napoli, cioè circa 3mila miliardi di vecchie lire.
Ma all’epoca si trattò di fondi pubblici. Questa volta, invece, a curare le ferite del sistema è stato il sistema stesso: i 5 miliardi di euro, infatti, sono stati tutti a carico delle banche. Certo, insieme a loro a subire i danni della cattiva gestione del passato sono stati anche gli azionisti dei quattro istituti (che hanno visto azzerato il loro capitale) nonché gli obbligazionisti diversi dai risparmiatori semplici, con oltre 400 milioni di investimenti bruciati. Ma la parte più consistente del conto è finita a carico delle banche sane.

Il fondo di risoluzione
In più parti. Anzitutto, secondo la ricostruzione de Il Sole 24 Ore, ci sono stati i 2,350 miliardi richiamati in tutta fretta dal Fondo di risoluzione a fine 2015, per ripagare una linea di credito a breve termine imbastita in poche ore con UniCredit, Intesa Sanpaolo e Ubi. Si trattava di quattro annualità (una ordinaria e tre straordinarie) relative ai contributi obbligatori al Fondo di risoluzione. A questa somma si è poi aggiunta immediatamente una seconda tranche da 1,65 miliardi di euro, costituita un prestito a 18 mesi, garantita dalla Cdp. Per coprirla, e coprire i nuovi fabbisogni che sono emersi via via che il tempo passava e le banche facevano emergere un peggioramento del credito, alle banche è stato richiesto di anticipare nel 2016 due nuove annualità relativa al fondo, per ulteriori 1,5 miliardi. Il conteggio è ancora in corso, anche perchè molto dipende dalle valutazioni degli Npl su Carife e da eventuali altri dossier. A tirare le fila nel dettaglio sarà coimunque la stessa Autorità di risoluzione, che presenterà il rendiconto finanziario insieme a quello di Banca d’Italia a fine marzo.

Le obbligazioni retail
Accanto ai costi per le banche ci sono poi i rimborsi agli obbligazionisti retail. E anche qui l’esborso è in divenire: a pagare sono sempre le banche, questa volta attraverso il Fondo interbancario di tutela dei depositi. Finora a chi ha chiesto il ristoro forfettario dell’80% del valore dei titoli posseduti sono stati versati 35 milioni, ma la struttura guidata da Giuseppe Boccuzzi e Salvatore Maccarone potrebbe essere chiamata a rimborsare complessivamente anche 130-150 milioni. A cui, poi, andranno aggiunte le ulteriori risorse che otterranno gli altri obbligazionisti che stanno aspettando gli arbitrati: in totale, è probabile che questa partita assorba circa 200 milioni, a fronte degli oltre 300 milioni di valore dei titoli subordinati nelle mani dei risparmiatori.

Le sofferenze e Atlante
A tutto questo vanno aggiunti i costi relativi allo smaltimento dei crediti malati delle quattro good banks. Perchè conditio sine qua non affinchè Ubi e Bper si avvicinassero alle banche è stato il deconsolidamento degli Npl dai bilanci. E in questo senso l’intervento da parte di Atlante è stato decisivo. Perchè ha permesso di acquistare i crediti a un prezzo che, benchè inferiore a quello iscritto a bilancio, si è rivelato superiore a quello offerto dai fondi speculativi. Per l’acquisizione di 2,2 miliardi di non performing loans di Banca Marche, Etruria e Carichieti – crediti deteriorati emersi nel portafoglio delle tre banche dopo il conferimento alla Rev delle sofferenze avvenuto a Novembre 2015 – Atlante 2 ha sborsato circa715 milioni di euro, di cui 515 milioni cash della propria dotazione mentre i restanti 200 milioni sono coperti da un prestito ponte. Stesso copione dovrebbe seguire la vicenda di Carife. Atlante e il suo advisor Fonspa stanno lavorando a una cartolarizzazione dei circa 380 milioni di euro di non performing loans, che potrebbero passare di mano a un terzo del valore originario lordo, pari a circa 120 milioni. Va detto che in questo caso Atlante – e quindi l’intero sistema finanziario – a fronte di un esborso si ritrova con un asset in portafoglio, ovvero crediti deteriorati che potrebbero registrare una ripresa di valore. Quindi l’operazione non è paragonabile tout court alla copertura di una perdita. Ma è anche vero che tutti i finanziatori del veicolo acquista-Npl avrebbero impiegato diversamente i loro contributi, se solo avessero potuto.


Autore: Luca Davi, Marco Ferrando
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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