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Angeloni (Bce): bene Atlante, ma non basta

«Le procedure extragiudiziali con cui creditori e debitori pervengono a una soluzione, senza ricorrere a un processo formale, possono essere potenziate e ne andrebbe promosso l’utilizzo».

A sollecitare la rapida realizzazione degli obiettivi dichiarati dal decreto banche approvato venerdì sera è stato ieri Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di Vigilanza Bce, nel corso di un’audizione in commissione Finanze del Senato, rilevando che «le misure annunciate la settimana scorsa dal governo vanno in questa direzione». In tal modo, secondo Angeloni, «si aumenterebbe il valore dei non performing loans, le banche riuscirebbero a trarre pieno beneficio dalle ampie consistenze di garanzie ricevute e si stimolerebbe l’interesse degli investitori». «La risoluzione del debito in tempi rapidi – ha aggiunto – reca benefici agli stessi debitori in difficoltà, che potrebbero ristrutturare le loro attività e ricominciare».

Tanto più importante il potenziamento delle nuove misure messe in cantiere se si tiene conto che altri interventi già realizzati, come la Gacs (garanzia pubblica a pagamento sulle sofferenze cartolarizzate) e il Fondo Atlante vanno nella giusta direzione ma, da soli, non rappresentano ancora, per il dirigente della Bce, il punto di svolta ai fini dello smaltimento delle sofferenze bancarie. I non performing loans delle banche italiane a fine 2015 ammontavano a 360 miliardi, di cui 274 miliardi da banche significative( quelle sottoposte a tutela diretta di Francoforte). Va detto che la cifra comprende tutti i prestiti di scarsa qualità: oltre alle sofferenze vere e proprie, che al lordo degli accantonamenti sono 210 miliardi e al netto delle svalutazioni già effettuate sono 83,6, nel calcolo complessivo degli npl rientrano anche gli incagli e le esposizioni già ristrutturate.

«Per l’economia italiana la qualità degli attivi bancari è al momento uno dei problemi principali» ha detto Angeloni. I 360 miliardi di Npl sono pari a circa il 18% degli impieghi complessivi a giugno 2015, rispetto al 16,8% di un anno prima. «In termini nominali, il volume degli Npl in Italia è di gran lunga il più elevato fra i paesi dell’area dell’euro». Le banche italiane a fine 2015 avevano tuttavia accantonamenti pari al 45,6% degli Npl, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Il Texas ratio, che mette in relazione i crediti deteriorati con capitale e riserve destinate ad assorbire le perdite, «è in media quasi il doppio in Italia rispetto all’area dell’euro», ha detto ancora Angeloni.

C’è però un indicatore per il quale, per esplicita ammissione del dirigente della Bce, le aziende di credito italiane «sono messe meglio» delle banche dell’eurozona, con un rapporto pari a 5,4 contro il 4,7 medio di Eurolandia è quel leverage ratio (coefficiente di leva) che entrerà in vigore soltanto nel 2018, ma che già viene rilevato a Francoforte. Questo rapporto, ha spiegato il banchiere centrale europeo, non prevendendo ponderazioni, è un indicatore «meno manipolabile» di altri.

Ma Angeloni ha detto anche, sempre con riferimento alle aziende di credito italiane, che il fatto che i loro prestiti possano disporre di ampie garanzie rappresenta un margine di sicurezza «solo se le garanzie possono essere realizzate e liquidate in tempi rapidi, e questo avviene molto meno in Italia che in altri paesi europei». L’elevato livello dei crediti deteriorati ha effetti non solo sulle banche stesse ma anche sull’intera economia, ha ricordato. «A fronte dei costi e delle perdite notevoli sostenuti dalle banche nel processo di recupero dei crediti aumenta il costo di indebitamento di famiglie e imprese e si contrae l’offerta di credito. Alti livelli di Npl frenano la redditività delle banche, scoraggiano gli investitori nel capitale bancario e riducono l’offerta di credito a favore di nuovi soggetti – famiglie e imprese – con adeguato merito di credito. Frenano, in questo modo, la crescita economica e l’occupazione».


Autore: Rossella Bocciarelli
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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