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Banche sotto pressione a Piazza Affari

Nuova giornata di passione per le banche italiane a Piazza Affari. Nel giorno in cui Borsa italiana ha detto no alla quotazione della Popolare di Vicenza tutto il settore ha subito le pressioni del mercato. Per l’indice bancario Ftse Italia Banks il saldo a fine giornata è negativo del 3,08 per cento. Le perdite peggiori le hanno accusate le azioni del Banco Popolare (-7,3%) e della popolare di Milano (-6,04%) che si preparano alla fusione. Pesanti perdite si sono registrate anche su Ubi (-4,92%), Montepaschi (-5,52%), Bper (-3,66%) e sulle azioni delle due «big»: Intesa Sanpaolo (-1,98%) e Unicredit (-3,68%). La performance delle banche, da sempre la componente di maggior peso sulla capitalizzazione del listino Ftse Mib, ha determinato quella del paniere principale, ieri in calo dello 0,97% in netta controtendenza rispetto al resto d’Europa dove Madrid ha chiuso invariata, Parigi ha guadagnato lo 0,31% e Francoforte lo 0,86 per cento. A sorreggere Milano solo il buon andamento del lusso e del settore auto.
Da inizio il rosso del comparto bancario in Italia supera il 30 per cento. Non se la passano bene neanche gli istituti di credito nel resto d’Europa ma le perdite (-17,38%) sono comunque inferiori. Questo perchè, ai problemi di profittabilità del settore legati i tassi sotto zero sui depositi introdotti dalla Bce, sommano il tallone d’Achille della qualità del credito: l’enorme massa di crediti inesigibili (341 lordi a fine 2015) accumulatasi per via della recessione. Le pressioni delle autorità di vigilanza per un rafforzamento patrimoniale tramite aumenti di capitale e cessioni di crediti inesigibili si sono finora scontrate con un mercato restio a dare il suo contributo. L’esito dell’aumento di capitale della Popolare di Vicenza, che con lo stop alla quotazione finirà al 99,3% in mano al fondo Atlante, è l’ennesima testimonianza in questo senso. La reazione del mercato – spiega un operatore – è frutto dello scetticismo sulle potenzialità effettive di un’operazione di sistema come il fondo Atlante nel risolvere i problemi del settore bancario. Soprattutto se il copione visto con l’aumento della Vicenza si ripeterà anche con Veneto Banca lasciando al minimo sindacale (il 30% della dotazione complessiva di 4,25 miliardi di euro del fondo) la quota destinata allo smobilizzo dei crediti deteriorati. «Il mercato ha bisogno di soluzioni di largo respiro – commenta Domenico Rizzuto di Dr Finance Consulting – e temo che il fondo Atlante non lo sia». Di qui le svalutazioni in Borsa frutto anche di un altro timore: quello che le possibili perdite a cui rischia di andare incontro il nuovo veicolo possano compromettere la stabilità anche delle banche più solide. Un rischio messo nero su bianco dalle agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s che, pur evidenziando il segnale positivo arrivato con una risposta di sistema a un problema di sistema, hanno messo in luce il rischio che, vista la magra dotazione del fondo, le banche maggiori finiscano col pagare caro il prezzo della mutualizzazione del rischio.
Non tutti però vedono nero all’orizzone. Certo l’aumento della Popolare di Vicenza è andato come è andato. Ma cosa sarebbe successo se non ci fosse stato il fondo Atlante? Unicredit avrebbe dovuto garantire e a quel punto tutto la reazione dei mercati avrebbe potuto essere ben peggiore. «Quello che importa è che un intervento di sistema ci sia stato» sostiene Francesco Castelli gestore di Banor Capital convinto che alla fine l’operazione Atlante ripagherà chi l’ha sostenuta. Soprattutto per il cambio di passo che ha imposto sulla spinosa faccenda dei crediti deteriorati. Un tallone d’Achille che, secondo il gestore, diventa tale solo se questi «vengono svenduti su pressione delle autorità regolamentari». Con la presenza sul mercato di un soggetto come Atlante la scommessa è che i prezzi delle sofferenze possano salire. Di quanto? Banor Capital stima un 20% in più tenendo conto anche degli interventi legislativi dell’esecutivo per facilitare il recupero crediti da parte delle banche.


Autore: Andrea Franceschi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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