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«Bad bank» solo su misura

Dalla britannica Ukar alla spagnola Sareb passando per la slovena Bamc. Ma non mancano esperienze di “bad bank” anche in Irlanda, Austria, Germania e Francia. Mentre il governo italiano si prepara al decollo entro l’estate dopo il via libera di Bruxelles sulla compatibilità con le regole sugli aiuti di Stato, sono sette le soluzioni più significative per la gestione delle sofferenze bancarie adottate in Europa negli ultimi anni. Con formule e risultati diversi, come dimostra la ricognizione effettuata dall’Ufficio studi di Assifact, l’Associazione italiana per il factoring.

In Germania, Gran Bretagna, Austria e Slovenia la proprietà del veicolo è in mano pubblica, mentre negli altri tre casi l’azionariato è un mix tra pubblico e privato. Anche gli asset ceduti dalle banche per essere rivenduti al miglior offerente e fare cassa sono i più disparati: mutui, prestiti, derivati, ma anche partecipazioni industriali.

«In generale – spiega Alessandro Carretta, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Tor Vergata e segretario generale di Assifact – sono esperienze ritagliate su misura sul sistema bancario di un Paese. Si rivelano efficaci se riescono a ristabilire la fiducia nel sistema finanziario riassorbendo gli asset tossici, fanno ripartire l’erogazione del credito e creano una struttura effettivamente in grado di recuperare questi crediti. Per queste ragioni i casi che sembrano aver funzionato di più sono quelli di Spagna, Irlanda e Gran Bretagna, mentre quelli di Austria e Slovenia sono stati i più deludenti».

Nel 2010 Londra ha creato la Ukar (Uk Asset Resolution) per gestire i mutui arretrati di Northern Rock e Bradford&Bingley travolte dalla crisi finanziaria. L’operazione finora è costata alle casse dello Stato 165 miliardi di euro, ma sta già portando i primi frutti: i mutui di 27mila clienti sono stati venduti a un consorzio guidato da Jp Morgan e sono stati rimborsati allo Stato 12 miliardi di sterline (circa 16,5 miliardi di euro). In Irlanda, che detiene il record di sofferenze bancarie tra i sette Paesi considerati (25,3% rispetto ai crediti erogati), la National Asset Management Agency è nata nel 2009 nell’ambito del piano di salvataggio targato Ue. Il suo mandato è «assicurare il massimo ritorno finanziario allo Stato». Il veicolo non solo acquista crediti dalle banche in cambio di obbligazioni del governo, ma è diventato una vera e propria banca di sviluppo nel settore immobiliare. A oggi ha generato liquidità per 24,5 miliardi ed è stata promossa dalle agenzie di rating perché è in anticipo sulla tabella di marcia nel rimborso dei bond governativi. In Spagna la Sareb ha potuto fare affidamento sui fondi europei nell’ambito del piano di ricapitalizzazione delle banche iberiche nel giugno 2012 con l’intervento dell’Esm, il Meccanismo europeo di stabilità. Il veicolo ha già incassato 2,5 miliardi dalla vendita di 7mila asset.

Madrid e Dublino sono modelli virtuosi, che tuttavia – come ha chiarito di recente il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – non sono applicabili in Italia, perché il nostro Paese non ha chiesto alcun salvataggio europeo e la situazione delle banche italiane non è comparabile alla loro. Un altro ostacolo all’adozione di modelli degli altri è anche la normativa sugli aiuti di Stato, che dal 2013 è diventata più restrittiva ed è al centro del confronto tecnico con Bruxelles. Difficile quindi immaginare oggi di applicare un modello «alla tedesca», che è costato alle casse di Berlino ben 250 miliardi dal 2007 al 2013. Nella storia recente della Germania le “bad bank” sono due e risalgono al 2009 – in soccorso alla banca regionale WestLb – e al 2010 per gestire i titoli tossici di Hypo Real Estate. Si sono invece rivelate un flop le “bad bank” austriaca Har e quella slovena Bamc, mentre l’esperienza francese, focalizzata sul salvataggio del Crédit Lyonnais, risale al 1995 e si è chiusa nel 2006, prima dello scoppio della crisi.

In Italia, dove a fine 2014 le sofferenze hanno raggiunto quota 183,7 miliardi, il quadruplo rispetto al 2008, Padoan ha già preannunciato che verrà adottata una soluzione «light». «Nel nostro Paese – conclude Carretta – a differenza delle altre esperienze esaminate la misura non risponde infatti all’esigenza di salvare una o più banche, ma di liberarle da un volume di sofferenze che imbriglia la ripresa dell’economia. A mio avviso la formula più utile sarebbe un intervento privato con garanzia pubblica».


Autore: Chiara Bussi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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