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Per la bad bank di sistema la strada è quella delle garanzie pubbliche

La discussione sulla cosiddetta bad bank, per la pulitura dei bilanci degli istituti ” i oltre 180 miliardi di sofferenze su un insieme di crediti deteriorati per 300 miliardi, sta registrando opinioni diversificate, di entusiastico sostegno o di duro contrasto al progetto. Nell’intervento che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha svolto sabato scorso al congresso AssiomForex sono state indicate alcune linee per lo smobilizzo dei crediti deteriorati in modo da consentire alle banche di destinare più finanziamenti dell’economia.

Lo smobilizzo dovrebbe presupporre questi interventi: un ruolo dello Stato rispettoso della disciplina europea sulla concorrenza; il coinvolgimento delle banche nei costi dell’operazione; la remunerazione del sostegno pubblico, che verrebbe effettuato con agevolazioni fiscali o con la prestazione di garanzie sulle attività derivanti dalla dismissione dei prestiti in sofferenza. La motivazione dell’intervento starebbe nel fatto che con questa costruzione economico-istituzionale non si deve rimediare all’assunzione di rischi eccessivi da parte delle banche ma si deve far fronte al deterioramento indotto dalla gravita della recessione e alla necessità di rialimentare i prestiti all’economia. Tutto ciò secondo Visco. Ora, l’aspetto che si deve considerare, come condizione preliminare per proseguire nel merito del progetto, è la non facile assicurazione della compatibilita dello stesso con la disciplina comunitaria che porti a escludere la ricorrenza del caso di aiuto di Stato. Le voci diffuse in questi giorni su contatti che Padoan ha avuto a Bruxelles segnalerebbero un risultato favorevole al varo della misura. Ma la scelta decisiva perché non si verta in materia di aiuti di Stato è il ritorno remunerativo del sostegno che sarebbe apprestato. Vale la regola che non esistono pasti gratis.

Nell’affrontare comunque questo delicato tema, su cui da tempo Bankitalia insiste, va tenuto presente che progetti di bad bank sono stati già avviati da alcuni istituti senza confidare sulle agevolazioni pubbliche: è il caso innanzitutto di Unicredit e Intesa, che da tempo hanno promosso una iniziativa comune. Se si è in grado di realizzare un simile progetto senza fare appello all’intervento pubblico, sia pure a opera dei due principali istituti italiani, una riflessione occorrerà compiere su caratteri e limiti del sostegno dello Stato. È vero però che l’esperienza da tutti citata per i suoi ottimi risultati, quella cioè della bad bank del Banco di Napoli (la Sga), fu avviata sulla base dell’apporto delle anticipazioni speciali concesse dalla Banca d’Italia al tasso dell’ 1 %, in applicazione delle misure restaurative previste dal provvedimento del 1974 che passò alla storia come decreto Sindona (fu adottato inizialmente per la liquidazione delle banche di quest’ultimo); si trattava di anticipazioni erogate su pegno di titoli pubblici, per cui il soggetto beneficiario lucrava sulla differenza dei tassi.

Quel decreto tuttavia è stato ritenuto confliggente con la normativa europea, considerato un aiuto di Stato che si concreta nella minore corresponsione di utili al Tesoro da parte della Banca d’Italia. La costituzione della Sga avvenne comunque in un contesto che ricorda quello attuale per la crisi, che ebbe diverse facce negli anni 90 per il rinnovamento normativo che fu allora promosso (Testo Unico Bancario e poi quello della Finanza), per il consolidamento che fu realizzato, per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti del credito che venne innovata. Va poi ricordato che all’epoca del governo Monti, quando si era nelle migliori condizioni per fare ricorso al fondo europeo salva-Stati per poi destinare le risorse da parte del Tesoro a interventi di ricapitalizzazione del sistema bancario (come ha poi fatto la Spagna e con evidente successo), inutilmente si temporeggiò e alla fine pavidamente si optò per la rinuncia, temendo, senza grande fondamento, Feffetto-annuncio di un tale ricorso. Le banche italiane sono quelle che comunque sono ricorse di meno al sostegno pubblico, nazionale o europeo. L’individuazione degli strumenti con cui realizzare la pulitura è pure essa complessa, dovendosi scegliere tra una vera e propria bad bank (di sistema, di categoria o aziendale), un veicolo o addirittura lasciando all’iniziativa delle banche la scelta del percorso. Ma per trarre le conclusioni si potrebbe dire che il sostegno, nella misura in cui mira a fronteggiare il deterioramento dei prestiti indotto dalla recessione, è giustificato. Occorrerebbe allora distinguere tra questa condizione e quella di un negativo scrutinio del merito di credito. E nel contempo assumere contropartite dalle banche interessate sulla destinazione dei finanziamenti. Tra le diverse forme in cui può poi dispiegarsi il sostegno andrebbe preferita la concessione della garanzia, da remunerarsi a consuntivo. È sperabile in ogni caso che si decida tempestivamente per prevenire un nuovo «tormentone» inconcludente. Ma prima occorrerà fare il punto su tutte le forme di garanzia pubblica che assistono l’operatività delle banche, per una decisione organica.


Autore: Angelo De Mattia
Fonte:

Milano Finanza

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