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Crediti deteriorati, mercato in fermento

Mentre il mercato ancora attende il varo della bad bank, il settore bancario va avanti per la sua strada, e cerca di alleggerire in autonomia il fardello delle sofferenze. Un sforzo, quello delle banche italiane, che nei primi sei mesi dell’anno ha già fruttato cessioni di portafoglio pari a circa 5 miliardi di euro, il doppio dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma la cifra è destinata a crescere in maniera significativa in questi mesi. Secondo le stime di PwC, a fine anno si potrebbe superare facilmente la forchetta degli 8-10 miliardi di euro, con un’impennata oltre i 20 miliardi attesa nel 2016. Un bel balzo, dopo che tra il 2013 e il 2014 furono vendute sofferenze per appena 7 miliardi di euro.

I dossier relativi ai non performing loans presenti sul tavolo di banchieri e fondi specializzati sono sempre più numerosi. L’ultimo ad emergere in ordine di tempo è stato quello di Mps, che nei giorni scorsi ha confermato di aver avviato l’iter per la vendita di un portafoglio di prestiti non performing pari a 1,8 miliardi. A questo si potrebbe aggiungere un pacchetto da circa 1 miliardo di euro di crediti deteriorati di Veneto Banca. L’istituto di Montebelluna è da tempo al lavoro sull’analisi di un portafoglio di crediti (si veda il Sole 24 Ore dello scorso 9 ottobre) garantiti, tra gli altri, anche da immobili di pregio, asset commerciali e immobili residenziali. A mostrarsi attiva sul mercato è anche Banca Carige, che sta ragionando sulla cessione di 500 milioni di crediti deteriorati, ma non è escluso che la cifra possa salire.

 

Dopo il buon avvio del primo semestre (la vendita di 2,4 miliardi di euro di Uccmb da parte di UniCredit a Fortress e Prelios e i 2 miliardi circa della Archon da Goldman Sachs a D.e. Shaw), il mercato guarda insomma oltre. Anche perchè il bacino dei crediti potenzialmente aggredibili rimane enorme: sono circa 200 i miliardi di euro di sofferenze in pancia alle banche italiane.

Cedere sofferenze tuttavia non è facile. E non perchè manchino i possibili compratori. Da Cerberus ad Apollo, Da Lone Star ad Oaktree, passando per Fortress e Blackstone, i grandi fondi di investimento non vedono l’ora di acquistare crediti in un mercato che si sta risvegliando. Tuttavia il nodo è il prezzo. Perchè dopo aver già svalutato in media del 40-50% i prezzi delle loro sofferenze, gli istituti dovrebbero incassare nuove perdite visto che gli acquirenti difficilmente vanno oltre il 20% del prezzo originario. Il divario esistente tra domanda e offerta, che per lungo tempo ha bloccato il mercato delle compravendite, ancora rallenta il closing di molte operazioni. È proprio in questo contesto che dovrebbe inserirsi l’intervento della bad bank, o Asset management company, la cui attivazione contribuirebbe a «dare il calcio d’avvio al mercato dei Npl», come ha ricordato nei giorni scorsi il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.

Qualcosa, tuttavia, si sta muovendo, come segnala l’accelerazione recente. Una spinta rispetto al passato del resto è arrivata anche dalla nuova cornice normativa di riferimento, approvata dal governo a fine giugno. Il miglior trattamento della deducibilità delle perdite su crediti, o le norme volte ad accelerare il processo di esecuzione nei confronti dei debitori e la chiusura dei fallimenti. Ma a favorire le compravendite è anche il quadro di tassi bassi, che favorisce la ricerca di asset rischiosi ma che garantisce ritorni elevati ad acquirenti affamati di rendimenti.


Autore: Luca Davi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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