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Niente più tutela in tribunale ai crediti per piccole cifre

Da oggi non si potrà più adire il giudice per recuperare crediti di modeste dimensioni! Una notizia che, in sé, potrebbe far rabbrividire molte aziende che avanzano micro-importi da tantissima gente: si pensi ai 30, 40 euro di una bolletta, agli interessi legali per una prestazione adempiuta in ritardo, ma anche al mancato pagamento di un taglio di capelli, di un carrello della spesa, di un’autentica di firma dal notaio, ecc.

Se non fosse stata, quindi, la stessa Cassazione a stabilire il principio, ci sarebbe da prenderlo con le pinze. E invece no: ieri la Suprema Corte [1] ha detto che è inammissibile la causa per poche decine di euro (nel caso di specie si trattava di un recupero crediti per 34 euro). Ad una sola condizione però: che, oltre all’interesse meramente economico (il recupero del denaro), non vi siano anche altri interessi sottesi di natura non patrimoniale di cui sia portatore il creditore.

Tanto per fare un esempio: se si tratta del mancato pagamento di una fattura (un intervento dell’elettricista) l’interesse fatto valere è solo economico e, quindi, la tutela in tribunale è inibita; diverso, invece, se il credito deriva dalla lesione di un diritto della persona come la violazione del diritto al nome o della personalità (Tizio che abbia usurpato l’immagine di Caio e sia stato così condannato al pagamento di un risarcimento del danno): in tal caso, invece, la causa è sempre possibile.

Dunque, in sintesi, il credito irrisorio, che derivi da un contratto non rispettato è senza più tutela in tribunale. Così spiegata, cerchiamo ora di leggere la sintesi della sentenza (cosiddetta “massima”) dalle parole stesse della Cassazione:

“L’interesse a proporre l’azione esecutiva, quando abbia ad oggetto un credito di natura esclusivamente patrimoniale, nemmeno indirettamente connesso ad interessi giuridicamente protetti di natura non economica” così come “l’interesse che deve sorreggere l’azione di cognizione, non può ricevere tutela giuridica se l’entità del valore economico è oggettivamente minima e quindi tale da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell’interesse stesso”. “L’articolo 24 della Costituzione tutelando il diritto d’azione, non esclude certamente che la legge possa richiedere , nelle controversie meramente patrimoniali, che per giustificare l’accesso al giudice il valore economico della pretesa debba superare una soglia minima di rilevanza, innanzi tutto economica e, quindi, anche giuridica”.

Una tipica descrizione “tecnica” di un principio piuttosto semplice. La nostra legge richiede sempre, prima di iniziare una causa, che l’attore abbia un interesse ad agire e che questo interesse sia meritevole di tutela. Il che, tradotto in termini pratici, significa che non si possono fare cause solo per questioni di principio, anche se la condotta altrui costituisce un illecito evidente: per esempio, non potrebbe essere tutelata la richiesta di chi lamenti di essere stato derubato di un chiodo arrugginito o di oggetto ormai rotto che non utilizzi più.

In questi casi, dunque, lo stop alla tutela giudiziaria riguarda sia la causa per l’accertamento del credito, sia l’eventuale e successiva fase di esecuzione forzata (si pensi a chi chieda l’intervento dell’ufficiale giudiziario per eseguire un pignoramento sulla base di un assegno di 10 euro non pagato).

Insomma, anche la Cassazione è in vena di spending review e la sentenza in commento è stata l’occasione buona per dire stop a contenziosi che assorbono le risorse già limitate della giustizia, con enormi ricadute sulla lunghezza dei procedimenti.

La vicenda

Nel caso di specie, era stata avviato un pignoramento presso terzi per un debito iniziale di oltre 17 mila euro, poi estinto dal debitore salvo una minima differenza di 34 euro a titolo di interessi. Il cavilloso creditore non ha voluto sentire ragioni e ha preteso il pagamento fino all’ultimo centesimo. Per poi essere bloccato dal giudice.

La motivazione

La necessità di mettere un argine alle numerosissime cause “bagatellari” di natura patrimoniale con importi “simbolici” si desume sia dalla Costituzione [2], che impone il rispetto della durata ragionevole dei giudizi, sia dalla Carta Europea dei diritti dell’uomo [3] che, considera ai fini della ragionevole durata, dei procedimenti la fase del giudizio di cognizione e i connessi procedimenti esecutivi. Come dire che più cause ci sono da decidere, più si allungano i tempi per ottenere una sentenza. Quindi intasare i tribunali con pretese di poco conto per l’economia pubblica non è meritevole di tutela.

La Cassazione arriva anche a scomodare il concetto di abuso del processo, già affermato dalla stessa in passato [4], per escludere la possibilità di frazionare i crediti, relativi a un unico rapporto, in più cause che inflazionerebbero il ricorso alla giustizia.
La Suprema Corte ha così respinto la tesi del creditore secondo cui “nessuna norma autorizza il giudice ad eliminare un credito qualunque ne sia l’entità”; al contrario tale regola sarebbe chiaramente intuibile dai principi generali dell’ordinamento e dalla costituzione.

Se ci sono in ballo altri interessi

Diverso il caso – precisa la Corte – in cui non sia in gioco solo un credito di natura patrimoniale, ma esso sia connesso (anche indirettamente) a interessi di natura non economicaprotetti dalla legge. In questo caso, ci sarà tutela a oltranza.

[1] Cass. sent. n. 4228/2015.

[2] Art. 111 Cost.

[3] Art. 6 Cedu.

[4] Cass. sent. n. 23726/2007.


Autore: Angelo Greco
Fonte:

La Legge per Tutti

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