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NPL, un business che non si deteriora

Il tema dei crediti deteriorati mette in luce un conflitto apparentemente insanabile tra due visioni: quella delle banche e quella del regolatore bancario. In mezzo ci sono gli intermediari che comprano crediti deteriorati.

La terza edizione del NPL Meeting chi si è tenuta lo scorso 19 settembre a Mestre è stato organizzato da Banca Ifis, Pwc e Credit Village proprio al fine di trovare un equilibrio tra i tre punti di vista. Cosi’ come tre sono i temi caldi emersi dal meeting.

Un primo tema è quello del prezzo di questi crediti. Qui bisogna partire da lontano, ovvero dalle radici dell’odierna crisi di famiglie ed imprese. Molte di queste si trovano oggi in difficoltà per aver contratto un debito in base a previsioni di flussi di reddito che poi si sono rivelate errate. Proprio per questo motivo i tassi di recupero dei crediti stanno scendendo sempre di più. Una volta che un intermediario ha comprato dalla banca un portafoglio di crediti deteriorati, la banca si sfila dalle negoziazioni e ha inizio il dialogo diretto tra l’intermediario ed il cliente finale, cioè la famiglia che deve ripagarlo.

Qui entra il gioco il prezzo. L’intermediario paga per comprare il portafoglio crediti e incassa dal recupero, ma se cala l’incasso dovrebbe diminuire anche il prezzo pagato.“Invece non è cosi’. Anzi oggi questi prezzi sono notevolmente in crescita, per la gioia delle banche venditrici, ma non cosi’ alti da spingerle a disfarsi in maniera massiccia dei loro crediti deteriorati” spiega Giovanni Bossi, AD di Banca Ifis, a MF-Milano Finanza.

C’è quindi una discrasia tra il valore dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche ed o prezzi cui il mercato è disposto a comprarli. Gli altri due temi caldi riguardano la qualità documentale dei portafogli in vendita, cioè il modo in cui i venditori spiegano agli acquirenti quanto conveniente sia acquistare i loro crediti deteriorati, e l’aspetto reputazionale.

Quest’ultimo riguarda la domanda che le banche venditrici di crediti deteriorati pongono a chi li acquista circa gli standard qualitativi dei recuperi sulla clientela retail. Negli Stati Uniti le banche venditrici controllano con estrema cura le procedure degli acquirenti e infatti si tratta di un mercato molto concentrato, con pochi soggetti di riferimento.

Il messaggio lanciato dai relatori del convegno è che, almeno in quest’ultimo caso, l’Italia dovrebbe seguire di più l’esempio dagli Stati Uniti.

Andando ai numeri, i prestiti che le banche fanno a imprese e famiglie italiane sono calati in quattro anni da 2 mila miliardi a 1.850 miliardi di euro, un decremento quasi del 10%.

Ma le sofferenze lorde e quelle nette, nonostante il calo degli impieghi, continuano a crescere. Si parla di 300 miliardi di euro di crediti deteriorati, 172 miliardi di euro di sofferenze nette, una cifra che si è quadruplicata in cinque anni. Il tutto a fronte degli ultimi aumenti di capitale di circa 25 miliardi.

” Le banche dicono che gli impieghi calano perché la domanda di denaro che non c’è, ma dall’altra parte sono le prime a non voler aumentare i prestiti in un momento critico come questo”, prosegue Bossi, “gli aumenti di capitale sono stati fatti più che altro per assolvere agli obblighi imposti dalla vigilanza, ma le banche non rovineranno mai il ratio aumentando gli impieghi, perché poi avrebbero bisogno di un nuovo aumento di capitale.Ma di nuovo capitale, attualmente, non c’è n’è e a poco servirà l’abbondanza di liquidità che la Bce sta iniettando nel mercato”

 


Autore: Francesco Colamartino
Fonte:

Milano Finanza

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